Foto Guy via Flickr

Perché internet non è la nuova agorà

La democrazia è "deliberation", cioè essere informati e discutere. La democrazia diretta è un'illusione

Professor Cassese, è stato osservato che Hitler e Mussolini non ci sarebbero stati senza la radio e Berlusconi senza la televisione. E internet che cosa sta provocando?

Lo strumento tecnico ha certamente influenza sulla politica. Internet influenza due aspetti, insieme, della politica: la politica – dibattito, la politica – decisione. Nasce l’idea che internet sia la nuova “agorà”, dove i cittadini discutono. Si crede che tramite il web, la rete, si possa decidere. Quindi, internet ha una influenza sulla politica ancora maggiore della radio e della televisione.

 

Cominciamo da internet-piazza.

Internet veicola torrenti di informazioni. Alimenta l’ambizione di avere ogni verità a portata di mano. Consente di credere nella disponibilità di un oracolo elettronico. Questo è un primo aspetto, che pone un primo problema, quello della falsità di alcune delle molte informazioni che circolano su internet.

 

Ne parliamo tra un momento. Mi dica piuttosto del secondo aspetto.

Accanto a internet come veicolo di informazione, il secondo aspetto è quello attivo, di Internet come mezzo di espressione.

Internet consente uno scambio di opinioni, con immediatezza che somiglia a quella del dialogo, pur non essendo un dialogo. Anche qui ci sono problemi. Distanza e animosità. Anonimità. Appiattimento delle opinioni, un crepuscolo nel quale l’ignorante e l’esperto hanno lo stesso peso.

 

Ritorniamo a internet come fonte di informazione. Come combattere le notizie false?

Certamente non ergendosi a censori. Non rivolgendosi a organizzazioni internazionali, come proposto da qualche bell’ingegno. Controllare tutto è impossibile. Bisogna, allora, agire in altro modo. Immettere nella rete sempre più notizie e informazioni controllate, “vere” (nei limiti in cui la verità è raggiungibile). Esempio: se un campione rappresentativo degli italiani crede che il numero degli immigrati sia in Italia il 27 per cento della popolazione, occorre che una macchina di produzione di notizie “vere” immetta in rete dati sicuri (gli immigrati non superano l’8 per cento circa degli italiani). Spazi enormi per Istat.

 

E i problemi di internet come mezzo di espressione?

Più complicati. Qui è stato osservato che ci si raggruppa con coloro che la pensano nello stesso modo. Che si cerca la conferma di ciò che si pensa. Che si vuole che ciò che si pensa sia vero. Che dominano gli stereotipi e le generalizzazioni. Insomma, il contrario di quello che si chiama dibattito o discussione. Questo presuppone che vi siano persone di opinioni opposte o non collimanti. Che si discuta con obiettività e distacco. Che si cerchi di convincere, ma che si sia anche aperti a farsi convincere. Dialogo è diverso da comunicazione. Comporta una strada a due sensi, aperta a tutti, non un senso unico. Si dialoga, ci si affronta anche con antagonisti, con avversari. Qui sta la forza della “deliberation”.

  

Perché in inglese?

Perché “deliberation” vuol dire essere informati, discutere, ponderare, bilanciare. Gli americani pensano che si passi “from deliberation to decision”, un significato che è oscurato dalla parola “deliberazione”, che in Italia finisce per essere sinonimo di “decisione”. Da qui molti equivoci sulla “democrazia deliberativa”, che infatti un acuto traduttore ha proposto di chiamare in italiano “democrazia dibattimentale”. Questa è difficile tramite internet, che “oscura” i volti, appiattisce le conoscenze.

  

Come se ne esce?

Non illudendosi che internet consenta di far pausa, meditare, riflettere, assorbire, digerire, dibattere. Oppure cercando modi di utilizzazione di internet che consentano di realizzare tali modi di procedere collettivi. Ricordando che la politica è – come osservava Pietro Scoppola – il disegno razionale del possibile e la sofferenza per raggiungere l’impossibile. Luigi Sturzo lamentò, in un momento difficile della storia italiana, che la politica fosse diventata “arte senza pensiero”. Se ci si rende conto che la politica è amministrazione e gestione, ma anche idealità e utopia, che serve a unire e a tenere uniti, si capisce che internet fornisce enormi strumenti, apre nuove possibilità, ma può alimentare anche errori e vizi che riducono la politica in rissa.

  

Passiamo al secondo aspetto: internet per decidere.

Anche qui si alimentano sogni: siamo tutti collegati; quindi, invece di inviare a Roma qualcuno che decide per noi, decidiamo noi stessi. Una sorta di democrazia diretta. Oppure un miscuglio di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta: votami, andrò a Roma e voterò come tu mi dici (mediante referendum o accedendo a una “piattaforma”). Queste promesse alimentano illusioni che sono smentite dai numeri.

 

Sia meno criptico.

Semplice: gli italiani che hanno diritto elettorale attivo sono circa 40 milioni. Essi dovrebbero prendere collettivamente, uniti da internet, le decisioni che sono prese annualmente dal Parlamento. Votando qualche centinaio di leggi per anno, articolo per articolo. Le pare possibile? Abbiamo tutti il tempo, le informazioni, la voglia, di dedicare almeno 30 minuti a prendere decisioni collettive minuscole o enormi, come quelle che prendono oggi i nostri delegati, i parlamentari? E poi, vi sono i limiti qualitativi.

 

Che sono…

Quelli di cui ho parlato prima: la “deliberation”, l’informazione e il dibattito, la ponderazione delle scelte può avvenire a dimensioni così vaste? L’apparente semplicità della logica binaria sì/no con al quale si vorrebbe operare nella “piazza di internet” non è smentita dal fatto, osservato tante volte, che chi risponde ai referendum dà spesso risposte a domande diverse da quelle che gli sono poste?

Di più su questi argomenti: