The wife – vivere nell'ombra

di Björn Runge, con Glenn Close, Jonathan Pryce, Christian Slater, Max Irons

Mariarosa Mancuso

Scrittori. Fino all’anno scorso, l’inizio di ottobre era tempo di pronostici (quasi sempre sbagliati) e di polemiche (quasi sempre inutili: da quando Philip Roth non è più tra i premiabili, togliamo il “quasi”). A ricordarci che il 2018 è l’anno senza Nobel per la Letteratura – ma l’Accademia di Svezia giura che, smaltito lo scandalo molestie, ne assegnerà due l’anno prossimo – contribuisce questo film. Regista svedese, manco a dirlo, e cast internazionale: l’idea viene da un romanzo di Meg Wolitzer (Garzanti). Lo scrittore americano Jonathan Pryce riceve una telefonata in piena notte (chiamano dall’Europa!) che annuncia il premio agognato – noi maligni pensiamo subito agli scrittori italiani che in cuor loro sentono fortemente di meritarlo, e ogni volta rimangono delusi. Parte con la moglie Glenn Close alla volta di Stoccolma, subito si capisce che dietro le punzecchiature da vecchi coniugi c’è un bel po’ di non detto (lei ancora ha l’occhio di chi potrebbe bollire il coniglietto di una bambina, quando i film erano destinati a spettatori adulti). Sull’aereo, l’aspirante biografo semina altra zizzania. I flashback – negli anniCinquanta e Sessanta, tra aule universitarie e case editrici: “Non abbiamo un romanziere ebreo? Oggi vanno molto”, chiariranno i rancori incrociati. Non vogliamo svelare la sorpresa, tanto più che – a giudicare dalle recensioni – “The Wife” si configura come un film per il pubblico che rimpiange “i bei film di una volta”, e per la gioia delle signore che si son sacrificate mentre il consorte prendeva gli applausi. Siccome frequentiamo anche i libri e gli scrittori, oltre alle sale cinematografiche, non abbiamo potuto fare a meno di notare i luoghi comuni in materia di scrittura. Il dramma del film sussiste solo perché tutti quanti – gli scrittori affermati, le aspiranti scrittrici, i figli d’arte che vogliono emulare il padre – pescano le storie dalla (propria) vita. Mai un briciolo d’invenzione, sempre autobiografia. Quanto alle motivazioni del finto Nobel, sono fumose e fantasiose come le motivazioni vere: “Ha sfidato la forma romanzesca, reinventando la natura del raccontare e dello stile”.

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