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Oltre i pregiudizi

L'autenticità della trap. Cronache criminali di Simba La Rue e Baby Gang

Stefano Pistolini

Tra i probabili dominatori dei consumi musicali nazionali ci sono due pregiudicati, difficilmente in possesso della libera circolazione necessaria a promuoversi. Ma il loro successo non sembra offuscato dalle cronache giudiziarie, anzi

Conosco un criminale / Vorrebbe fare il rapper. Conosco un rapper / Vorrebbe fare il criminale”, recita Marracash in “Rapper/Criminale”. I nuovi cattivi. Quelli verso cui scatenare il disgusto nazionale, al seguito dei denunciatori di mestiere. Rete4 è il megafono: “Pistole e Violenza: Milano ostaggio delle baby gang”, strilla l’ultimo servizio nelle serate di ordinaria paranoia del canale. Inutile inoltrarsi ancora di più nell’apocalisse. Interessante invece accostarsi al brodo musicale nel quale prosperano le figure al vertice di questo fenomeno trasgressivo: i trapper famosi, eletti capibranco per la loro arte e il loro curriculum delinquenziale. Due si sono distinti negli ultimi mesi, salendo agli onori delle cronache, condottieri delle notti pericolose nell’hinterland: Simba LaRue e Baby Gang.

  

 

Entrambi stanno facendo i conti con grossi guai giudiziari, conseguenza delle loro bravate. Intanto, con sconcertante contemporaneità, i due si presentano sulla scena musicale ciascuno con un album – entrambi potenziali bestseller, allo stesso livello dei campioni a loro legati da cuginanza: Lazza, Sfera e compagnia. La sintesi è che tra i probabili dominatori dei consumi musicali nazionali ci sono due pregiudicati, difficilmente in possesso delle prerogative di libera circolazione necessarie a promuoversi. Eppure il successo di Baby e Simba non ne soffrirà quantitativamente: entrambi sono in alto nelle preferenze dei coetanei e i loro astri non risultano offuscati dalle cronache giudiziarie.

 

Ripercorriamone alcune. A giugno ‘22 Simba La Rue, nato in Tunisia, vero nome Mohamed Lamine Saida, viene accoltellato e ferito a Treviolo, vicino a Bergamo. L’aggressione è l’ultimo episodio di una serie di scontri tra lui e dei colleghi della zona. Barbara Boscaioli, ex-fidanzata di Simba, conferma al gip di aver giocato un ruolo chiave nell’agguato, come vendetta per i maltrattamenti subiti. Appena una settimana prima Simba aveva già fatto notizia a Milano per aver a sua volta aggredito il rapper Mohamed Amine Amagour, in arte Touché, che però si chiamava fuori dalla faida: “Nessuno di noi vuole una madre che piange. Abbiamo tutti lo stesso obbiettivo: fare musica e fare soldi. Dunque per me la storia è chiusa”.

   

Poco tempo dopo, ottobre ’22, Simba La Rue e Zaccaria Mouhib, in arte Baby Gang – amici dai tempi della comunità di recupero Kairos – vengono arrestati con accusa di aggressione armata. Il fatto risale a tre mesi prima, in via Toqueville, movida milanese. “La violenta rissa”, si legge nell’ordinanza “si è conclusa con una vera esecuzione di due senegalesi, colpiti alle gambe con colpi di pistola e derubati”, in quello che viene descritta come “non una banale rissa, ma un episodio di sopraffazione, originato da logiche di banda e controllo del territorio”. Per entrambi si aprono le porte della prigione, anche se a marzo ‘23 il tribunale accoglie l’istanza di scarcerazione di Baby Gang, spedendo il rapper ai domiciliari in una comunità terapeutica. Secondo il suo avvocato “Zaccaria ha intrapreso un processo di rielaborazione dei propri trascorsi criminosi”. Dieci giorni prima anche Simba La Rue aveva ottenuto i domiciliari. Adesso, a inizio 2024, arrivano però le sentenze definitive per la sparatoria di Milano: 5 anni e 2 mesi a Baby Gang, 6 anni e 4 mesi a Simba La Rue – pene più severe di quelle richieste dalla procura. Le condanne si sommano ai precedenti: oltre 4 anni a Baby Gang per una rapina e 4 a Simba per la faida con Touché. Difficile pensare che non tornino dietro le sbarre.

 

Intanto, prima dell’estate esce “Innocente”, secondo album di Baby Gang, con punte di 20/25 milioni streaming. E adesso arriva “Tunnel”, esordio di Simba. Vale la pena ascoltarlo: è un lavoro dai toni cupi, tipici del primo gangsta rap e con testi autobiografici: emarginazione, illegalità, ossessione per le armi, spaccio, tarantelle a caccia di guai, correzionale, carcere. Temi onnipresenti sono i soldi, il dominio su chi ti circonda, la sottomissione femminile e la mamma, Madonna intonsa, presso cui trovare rifugio. Figlio di una badante e di un metalmeccanico, Simba in un’intervista a Giovanni Robertini racconta d’avere paura di tornare povero, perché da piccolo sentiva solo parlare di quattrini. Si dichiara artista e dice di non voler insegnare niente a nessuno. In effetti “Tunnel”, che conta sulle collaborazioni di Guè, Ghali, Sfera, Baby Gang, Paky e Tedua, è un documento raggelante, di cui va riconosciuto il potere di suggestione e la forza descrittiva. S’inoltra nel buio, ma fa intravedere un intento di redenzione. Le attuali logiche di giudizio lo etichetteranno come un lavoro genericamente pericoloso, per i ricorrenti timori d’idolatria e imitazione da parte dei giovani ascoltatori, ma altresì è impensabile pensare di sopprimere una narrazione di questa autenticità, tra dolore e rivalsa.

 

La domanda è: il rap, prima di sprofondare nel mainstream, non è stato questo? Disturbo e rivendicazione non sono sempre stati i suoi scopi? Se questo è il suono naturale della famosa “seconda generazione” di immigrati, si pensa di poterlo silenziare? Le bocche non vanno incerottate, anche se quel che dicono suona sgradevole e destabilizzante. 
 

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