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nuove soluzioni

Luchino Luce: un quasi cantautore della trap

Stefano Pistolini

L'avventura del trapper nel suo nuovo Ep "Cometa": c'è più espressione che contemplazione nel suo narcisismo musicale. Un viaggio tra l'autoascolto perenne e l'ostentata sperimentazione sulla voce 

Dove si riverserà la carovana della trap music quando questo suono arriverà al suo tramonto (c’è già arrivato)? Le risposte non sono scontate e le ipotesi possono essere molteplici. Contemplando anche soluzioni inattese, come quelle prospettate da Luchino Luce, uno dei suoi personaggi di culto, che ora fa diversi passi in avanti testimoniati dal suo nuovo Ep, il terzo in meno di due anni, intitolato “Cometa” (Bomba Dischi), dove alcuni stilemi del genere restano fissi, chiari e rispettati (a cominciare dall’ampio uso di modulazione della voce, qui in una declinazione semi-melodica e dai ritmi scanditi dall’iconica batteria elettronica Roland 808), ma dove si aggiungono anche nuovi e sorprendenti strati espressivi, che rendono il tutto non banale e stimolante.

 

Vogliamo calare la parolona? Possiamo azzardare l’ipotesi di una declinazione cantautorale della trap? Insomma la più improbabile delle congiunzioni qui prende forma, il contatto, come quello col ditone di ET? Ascoltando la scaletta di Luchino si può formulare una risposta positiva, proprio perché è la stessa produzione – curata dal suo amico xx-Buio (che fa pendant con la Luce che lui porta nel nome) – a mostrare una continua tensione verso l’ampliarsi del suono, l’aspirazione a esprimere, assai di più di quella a contemplare e a rappresentare, che sono le perenni chiavi espressive del narcisismo trap. Luchino Luce vuole andare oltre e nel farlo è avvantaggiato da una proprietà musicale immediata, percepibile al primo ascolto, che subito gli permette di avventurarsi in avanti. Del resto la sua sembra una classica storia d’irrequietezza: viene da Padova, è del ’98, si forma ascoltando Fibra e Kanye e, come tutti i ragazzi dell’entroterra nord-est in cerca di stimoli, frequenta Venezia, che non è solo la città dei turisti, ma nasconde realtà locali giovanili vivaci, che ruotano attorno a Ca’ Foscari e allo Iuav.

 

Poi per lui arriva il momento d’andare a lavare i panni a Londra, dove fa le sue brave esperienze d’avanguardia che implicano contatti con altre estranee alla nostra cultura – il punk, innanzitutto. Al rientro in Italia, Milano, la pandemia, il riavvicinamento a casa, l’inizio della produzione e, soprattutto, una sopravvenuta maturazione artistica. Già “Nuovo Maschio”, l’Ep uscito la scorsa primavera, presentava un musicista a cui va stretta la regola della trap e che sconfina continuamente verso un digitale melodico, panorami di rilassata elettronica ambient e contenuti insoliti, che adesso, in “Cometa”, è in grado di evolvere, di far salire di livello, di rendere ancora più attraenti. Perciò viene voglia d’includere Luchino Luce nell’ipotetica lista di post-cantautori in erba, portati a utilizzare in modo angolare gli stilemi della trap, rendendoli funzionali a un progetto più ampio, esplorativo, avulso dall’indolente ripetizione che contraddistingue quel suono.

 

Il video del singolo-traino di “Cometa”, “E tu fai”, ben diretto dall’appena 23enne veneziano Marco Cavazzin, riecheggia slanci indie alla “Blair Witch Project” e ribadisce l’interesse di Luchino per una narratività visuale, melodrammatica, simbolica. Al centro delle liriche appare un perenne autoascolto, la maniacale osservazione del proprio corpo che si muove nello spazio urbano e un’inconsueta attenzione alle mutazioni della circostante società italiana, vista dall’osservatorio di un ventenne che ne registra i mutamenti e i riadattamenti in un periodo che in un’intervista ha classificato “post-nichilista”. Ma alla fine le prime cose ad arrivare veramente all’orecchio, ascoltando “Cometa”, sono i veri fattori innovativi di questo artista: l’accentuata sperimentazione esercitata sulla voce, più estrema e creativa che nel passato, scrollandosi di dosso i torpori da auto-tune della trap e cercando formule diverse e originali di digitalizzazione delle corde vocali. Quindi la dimensione sempre più teatrale dei suoi pezzi, che somigliano a piccole pieces, con figure, azioni, evoluzioni, carillon. Infine la dimensione autenticamente poetica da cui tutto ciò prende le mosse (“Cambiamo l’Italia”, grida in “E tu fai”), in cui si abbinano delicatezza e modernismo, stravaganza, ironia ed eleganza. E anche quel refrain “wish wish” pronunciato a iosa e disseminato nelle sue canzoni, come fossero delle virgole, dei ganci a cui appendere una visione che si va formando e che promette d’essere rivelatrice. 

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