Sfera Ebbasta (foto LaPresse)

L'Italia è diventata la nuova frontiera dell'antiglobalizzazione musicale

Stefano Pistolini

Da Sfera Ebbasta a Irama passando per i Måneskin. Diciannove dei 20 album più venduti nel 2018 sono di artisti italianissimi

Una news che terrà Salvini lontano da Facebook: con sua buona pace, i dati ufficiali appena presentati da Fimi, la Federazione italiana industria musicale italiana, fanno sapere che, quanto a canzoni e consumi a sette note, la nostra è prodigiosamente diventata la nuova frontiera dell’antiglobalizzazione e della totale autarchia. 19 dei 20 album più venduti da noi nel 2018 portano la firma di artisti italianissimi e, nella gran maggior parte dei casi, under 30, giovani e forti.

 

Magari un sussulto a Salvini verrebbe leggendo il nome del numero 1: Sfera Ebbasta, il 26enne trapper di Cinisello Balsamo a fine anno investito dal dramma della strage nella discoteca di Corinaldo. Quella sera, malauguratamente, andava in scena il titolare di “Rockstar”, disco più comprato e consumato dell’anno dal nostro pubblico, e anche per questo la temperatura era più alta di quanto avrebbe dovuto essere.

 

Il fatto è che la musica italiana è stata sottoposta a onde telluriche che ne hanno rifatto la geografia. In primo luogo è lo stesso concetto di album a essere oggi sottoposto a rilettura e ridefinizione, dal momento che l’oggetto fisico del vinile o del cd è ormai sottomesso al consumo virtuale dello streaming e l’idea stessa di “possedere” della musica ha rivoluzionato i suoi parametri. E poi anche le modalità di lancio dei nuovi artisti si sono modificate: ormai i talent televisivi hanno definitivamente acquisito credibilità presso un pubblico, cresciuto guardandoli – più che sospettandone.

 

Così non deve stupire che al numero due di questa classifica ci sia il faccino fascinoso di Irama, 23enne monzese vincitore di “Amici 18” e tanto meno deve farlo il quinto posto dei giovanissimi romani Måneskin, rivelazione della penultima edizione di “X-Factor”. In mezzo, al terzo posto spunta l’unica reduce di antiche glorie, capace di tener ancora botta sul mercato, ovvero Laura Pausini, terza con “Fatti sentire” e poi un rapper che ha fatto una lunga gavetta come Salmo, quarto con “Playlist”. Tutto rigorosamente italiano: evidente che se i ragazzi adesso decidono di mettere 20 euro su un cd, lo scelgono di un eroe locale, come Capo Plaza, trapper salernitano al sesto posto con “20”, o Ultimo, settimo con “Peter Pan”, o perfino gli sconcertanti eroi del web Benji & Fede, ottavi con “Siamo solo Noise”, cui si accoda il rap di Gemitaiz con “Davide”. Decimo l’unico prodotto d’importazione: Ed Sheeran con “Divide”, un risultato modesto se si pensa che il rosso nerd dello Yorkshire è ormai il trionfatore delle classifiche mondiali e certamente il bestseller planetario di questi anni, avvicinato soltanto da Drake.

 

Ma le cose di casa nostra stanno proprio così, perché dopo Sheeran la classifica di vendita 2018 ricomincia a inanellare artisti italiani: Jovanotti, Mengoni, Amoroso, Tedua, Emma, Cremonini, perfino un ex cattivo patentato come Noyz Narcos, adesso diventato artista da top charts. Niente che non parli la nostra lingua e niente rock – né vecchio, né nuovo. Bisogna frugare nella nicchia delle classifiche dei vinili per ritrovare una chitarra elettrica, prendendo atto che qui i più venduti sono i soliti, decrepiti “Dark Side of the Moon” e “The Wall” dei Pink Floyd, seguiti da “Nevermind” dei Nirvana (1991), dato che la dice lunga sul pubblico che può ancora aver voglia di mettere le mani su un giradischi. Il mondo della musica si è girato a testa in giù, senza avvisare, senza chiedere il permesso ai suoi sacerdoti, senza rispettare i pedigree. Al presente una cosa è la musica partecipata, il concerto, la festa col biglietto a prezzo salato, che attira un pubblico più largo e trasversale. E una cosa è convivere con la colonna sonora del proprio quotidiano, che deve assomigliarti, parlare la tua lingua, raccontare storie che riconosci. E siccome da Elvis in poi in questo campo comanda chi ha attorno a vent’anni, adesso Sfera e soci sono il prodotto del gusto di chi li ascolta. E in questo, in questo nazionalismo inconsapevole, in questo rovesciamento delle gerarchie, in questa caotica rottamazione della storia, c’è un brivido di pensiero autonomo che è piacevole osservare. Magari evitando di affrettarsi a giudicarlo “debole”.

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