Prima ancora dei figli, i genitori si occupino delle proprie cattive abitudini

Le lettere del 10 dicembre al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Europeismo sale al 64 per cento, poi dice che uno si fa un partito.

Giuseppe De Filippi

  


  

Al direttore - Si aggiunge alla società civile il fondamentale movimento dei No Trap.

Andrea Minuz

Più che preoccuparsi della qualità della musica ascoltata in quella discoteca – e prima ancora di discutere della follia degli spray urticanti, del numero di biglietti strappati, dei musicisti che giocano con gli orari delle performance non annunciando l’arrivo in ritardo in un locale solo per far venire i ragazzi il prima possibile – ciò di cui ogni genitore dovrebbe forse occuparsi è se sia giusto oppure no dare la possibilità a un bambino di dodici anni di restare fino alle tre di notte in discoteca come se nulla fosse. Prima di condannare le cattive abitudini dei ragazzi, e dei bambini, i genitori dovrebbero occuparsi delle proprie cattive abitudini e della propria – della nostra – incapacità a saper dire dei no.

  


  

Al direttore - Salvini a Tria: “Sfora ebbasta!”.

Roberto Brazzale


  

Al direttore - In relazione all’articolo di Renzo Rosati, “Lasciate in pace Vivendi”, pubblicato dal Foglio l’8 dicembre 2018, Open Fiber precisa quanto segue: Open Fiber – che nasce con l’obiettivo di colmare il divario digitale che vede l’Italia agli ultimi posti delle graduatorie europee – ha avviato la sua attività nelle cosiddette aree a successo di mercato (e quindi in regime di concorrenza) e non, come sostiene Rosati, nelle aree bianche, su cui la costruzione della rete è iniziata in un secondo momento. A seguito dell’acquisizione di Metroweb Spa nel dicembre 2016, infatti, Open Fiber ha iniziato ad attuare il suo piano di copertura di 271 città italiane attraverso la costruzione di un’infrastruttura integralmente in fibra ottica che arriva direttamente dentro le case e le aziende italiane (Ftth - Fiber to the home). Solo successivamente e grazie alla partecipazione alle gare pubbliche indette da Infratel, stazione appaltante del ministero dello Sviluppo economico, Open Fiber ha allargato il suo perimetro di azione aggiudicandosi i due bandi che la vedono impegnata oggi nella progettazione, realizzazione e manutenzione di una rete che resterà di proprietà pubblica in 17 regioni e 6.753 comuni italiani. Queste gare (la terza si sta aggiudicando in questi giorni) sono state vinte da Open Fiber dopo aver partecipato insieme alla stessa Tim e ad altri operatori ad una regolare procedura competitiva. A proposito della citata “joint venture che si doveva chiamare Flash…” riteniamo che l’autore confonda Open Fiber con Fastweb, la società che insieme a Tim ha costituito per l’appunto Flash Fiber, nata proprio per competere con Open Fiber nelle aree a successo di mercato. Quanto ai “crediti bancari”, i 3,5 miliardi di euro a cui Rosati fa riferimento, sono stati messi a disposizione da alcune tra le maggiori banche italiane ed internazionali dopo una lunga e dettaglia analisi del piano industriale, nell’ambito del più grande progetto di finanziamento mai strutturato per un progetto analogo in Europa, medio oriente e Africa. Il finanziamento contribuisce a un progetto del valore complessivo di 6,5 miliardi di euro, che consentirà a Open Fiber di realizzare la copertura di oltre 19 milioni di case e aziende nazionali. Progetto che in appena due anni ha già superato il 25 per cento della sua realizzazione.

Ufficio Stampa Open Fiber

Risponde Renzo Rosati. Open Fiber è nata ufficialmente il 20 dicembre 2016, appunto con la missione esplicita del governo Gentiloni (anticipata da quello Renzi) di portare la rete a banda larga nelle aree cosiddette bianche, cioè non raggiunte dalla concorrenza. Cito dal comunicato ufficiale: “Garantire la parità di accesso a tutti gli operatori del settore, anche nei territori a fallimento di mercato, e consentire di abbattere in maniera significativa il digital divide nel nostro paese”.  Questo con l’impegno finanziario e tecnologico di due aziende controllate dal Tesoro, Enel e Cdp. Che inoltre (“successivamente”) partecipi anche a gare per la rete in aree concorrenziali non contraddice la missione principale. Riguardo a Flash, nessuna confusione. Essa nella sua ultima accezione doveva essere la società nella quale realizzare la fusione Tim-Open Fiber, secondo i colloqui tra i due operatori privato e pubblico risalenti a luglio scorso. L’azienda certo preesisteva ma nel progetto proposto da Amos Genish, allora ad di Tim si sarebbero dovute redistribuire le quote in base ai pesi dei due contraenti. Open Fiber e il suo coazionista Enel esprimevano invece interesse per collaborazioni commerciali. Quanto ai crediti (debiti per chi li contrae), Open Fiber conferma cortesemente quanto scritto; anzi aggiunge che il fido complessivo è di 6,5 milioni. Ma l’oggetto del mio articolo e la vera domanda sono: può e deve un’azienda pubblica quale Open Fiber rilevare un’azienda privata molto più grossa, e anche con problemi più grossi, qual è oggi Tim? Con quali modalità e aggravi per il Tesoro? Le perplessità finora espresse chiaramente da Enel e i molti impegni della Cdp lo consentono? Infine: se Vivendi decidesse di mollare Tim e tornarsene in Francia, Open Fiber o chi per essa è in grado di sobbarcarsi la nazionalizzazione di una rete privata molto più grande?

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