Il foglio della moda

Intelligenze per l'intelligenza artificiale nel settore della moda

Michele Fioroni

L'Ai sbarca anche nel fashion. Ma nonostante i timori che possa sostituirsi agli stilisti, i benefici sono nettamente maggiori dei rischi: basta saperla utilizzare

Nella letteratura dell’innovazione si parla di discontinuità tecnologica quando un’innovazione ha la forza di interrompere, cambiandolo, il flusso del progresso tecnologico. L’intelligenza artificiale è probabilmente il fenomeno di discontinuità tecnologia più rilevante, dall’avvento della rete. La pandemia si è rivelata una grande stagione storica di incubazione tecnologica, consentendo un’accelerazione della curva di sperimentazione dei nuovi ecosistemi digitali senza precedenti. Primo fra tutti il cloud che, grazie alla crescita esponenziale della capacità di calcolo e stoccaggio di dati, è stato il vero fattore abilitante dell’intelligenza artificiale, una tecnologia destinata a cambiare, oltre che il nostro stile di vita, le regole del gioco in molti settori economici. Non rispettando le tradizionali curve del ciclo di vita dell’innovazione, l’intelligenza artificiale si è presentata subito come una tecnologia democratica, a portata di mano di tutti nel suo utilizzo di base.

Chat GPT ha quindi aperto le porte dell’intelligenza artificiale a un pubblico mainstream, rendendola facile da utilizzare e la moda non poteva essere immune da questa rivoluzione. Dal processo creativo alla gestione della supply chain, passando per il marketing e la gestione del punto vendita, l’intelligenza artificiale può trovare applicazione lungo l’intera catena del valore della moda. Ma se la gestione della logistica, degli approvvigionamenti e l’analisi predittiva delle vendite sembrano essere l’ambito in cui l’intelligenza artificiale può apportare i maggiori benefici economici, è l’applicazione al processo creativo che si presta a una valutazione più controversa.

È comprensibile che la potenziale capacità di generare design inediti basandosi sull’acquisizione di dati pregressi, possa generare diffidenza, soprattutto in un settore produttivo il cui confine spesso sfuma nell’arte. Non bisogna tuttavia incorrere nell’errore di pensare che l’IAG (intelligenza artificiale generativa) si sostituisca agli stilisti. Non si tratta di una tecnologia in competizione con la creatività dell’uomo, ma in suo supporto per esaltarne la potenza creativa. Se è vero che fino a oggi solo i designer di moda professionisti erano in grado di progettare e di presentare abiti, mentre in futuro chiunque potrebbe essere in grado di farlo, la genesi del processo creativo richiederà comunque il possesso di skill settoriali e la padronanza dei fondamentali. Credo che i benefici siano sicuramente maggiori delle preoccupazioni. La fase creativa potrà trarre grande beneficio consentendo per esempio di convertire in tempo reale schizzi, ispirazioni, idee in modelli da alta risoluzione 3D, permettendo allo stilista di poter giocare con una vasta varietà di stili, materiali e dettagli, verificandone anche la fattibilità tecnica e produttiva. Gli algoritmi di IAG aprono non solo nuovi orizzonti nella progettazione della moda, ma possono fornire al creativo nuove fonti d’ispirazione ottenendo combinazioni di colori, tessuti e modelli precedentemente inesplorati. Una simbiosi perfetta tra creatività umana e algoritmi che, contrariamente al rischio di omogenizzazione che alcuni paventano, può potenziare la capacità espressiva, la diversità e l’innovazione del design. Di fronte all’utilizzo di tecnologie destinate a cambiare le regole del gioco, sono legittime le paure che con gli algoritmi di intelligenza artificiale a guidare le decisioni design e marketing, ci sia il rischio di una deriva meno creativa e di una moda sempre meno individuale e più omogeneizzata. Ma il settore ha al suo interno tutti gli anticorpi necessari per evitare che un utilizzo sbagliato della tecnologia, possa portare a un generalizzato calo qualitativo del sistema di offerta. L’utilizzo degli algoritmi di intelligenza artificiale per prevedere tendenze e analizzare le preferenze dei consumatori può favorire una maggiore l’integrazione del marketing con il processo creativo dello stilista.

E se da un lato è indubbio il beneficio di poter creare modelli sempre più in linea con le aspettative dei consumatori, riducendo il rischio di produrre qualcosa che non vende, i timori per un’eccessiva omogenizzazione degli stili possono diventare in questo caso maggiori. Non si può tuttavia ignorare come, oltre a garantire un’azione di marketing più mirata ed efficace, a trarre beneficio da una previsione più accurata delle tendenze sarebbe proprio il processo creativo, per quanto la storia della moda ci abbia insegnato come gli innovatori siano andati spesso contro le tendenze. Sono convinto che nessun algoritmo sarà mai in grado di replicare la fantasia umana e che la straordinaria alleanza tra uomo e algoritmo apra le porte a una straordinaria stagione di creatività. 

Michele Fioroni è coordinatore della Commissione Digitale e Innovazione della Conferenza delle Regioni ed esperto di marketing e innovazione

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