Abbecedario della moda uomo per l'autunno inverno 2020-2021

Da Gucci ad Armani, passando per Etro, Kiton, Ferragamo, Tod's e Fendi. Ecco tendenze, notizie e retroscena delle sfilate appena concluse a Milano

Fabiana Giacomotti

Sulle note del Secondo Valzer di Dmitri Shostakovich si chiude la sfilata di Gucci, forse la più pensata, delicata e al tempo stesso pregnante delle ultime stagioni, una rappresentazione visiva poetica e lacerante sulle costrizioni sociali e la dinamica dei ruoli che, dopo il tempo felice della prima infanzia, incasellano i sessi in ruoli e comportamenti definiti, e cala il sipario sulle cinque giornate, non affollatissime causa turbolenze internazionali ma comunque molto interessanti, delle Collezioni Moda Uomo inverno 2020-2021. Riprendendo un po’ lo schema della collezione di Alessandro Michele per Gucci e della sua cartella stampa scritta su un foglio protocollo piegato, come ai tempi della nostra scuola di Baby Boomer e Generazione X, ecco un abbecedario di quanto s’è visto, e che vale la pena sapere, fra tendenze, notizie e retroscena.

  

A come arioso (e P come proporzioni). Dimenticate le giacchette avvitate, i cravattoni in seta con il doppio nodo Windsor e gli sterni sparati in avanti che, sotto sotto, ci sono sempre sembrati un po’ burini, via. Le giacche, ma soprattutto i coat, hanno proporzioni nuove, avvolgenti e al tempo stesso definite. I più interessanti portano la firma di Ferragamo, che rivisita anche il gioco delle pieghe e delle pinces sulle giacche e sui pantaloni e offre una silhouette davvero nuova. I più estremi, di Fendi.

 

C come Cultura e Collezionismo. Conoscevamo Girolamo “Gimmo” Etro come grande e raffinato collezionista del Seicento. Per la sfilata uomo, disegnata dal figlio Kean, ha accettato di mettere a disposizione un’ottantina dei ritratti (compreso quello del nonno omonimo) e delle vedute ottocentesche della sua sterminata collezione perché fossero appese sui muri del garage di via Paullo dove si è tenuta la sfilata. L’effetto era magnifico, ma il padrone di cotanta quadreria dice di star “occhieggiando” in questi mesi un mosaico del Settecento su modello romano.

 

I come infanzia. Alessandro Michele va a toccare le corde più sensibili del pubblico, e non solo quello della moda, riportandolo alla propria infanzia in uno spettacolo che si trasforma subito in transfert visivo ma anche fisico. Tutti seduti fra gli scranni di una grande arena dominata da un enorme pendolo di Foucault, gli ospiti vedono sfilare i cappottini in shetland azzurro cupo o verde col collettino di velluto dei primi anni di vita, le scarpine Start Rite, gli abitini in velluto a punto smock, i calzini corti, un’evoluzione rock delle polacchine correttive, anche quelle indimenticabili e purtroppo. Ci sono anche i capisaldi del marchio, le giacche strette in velluto liscio, i pantaloni taglio Seventies, cioè i flares o “zampa di elefante”, ma pochi li vedono perché hanno gli occhi fissi su quel girotondo di bambini cresciuti, maschi e femmine, e su quanto sono lì a rappresentare: “Una diserzione da schemi e uniformi patriarcali. Se gli uomini imparassero a dialogare con la loro parte femminile, (e le donne non fossero costrette a ruoli e comportamenti di subalternità indotta dalla famiglia, nda) sarebbe meglio per tutti”, dice Michele dopo la sfilata. Arrivato al quinto anno di direzione creativa del marchio, dopo aver rivoluzionato la moda e i suoi tempi e ricordiamo perfettamente il silenzio stupefatto che accolse la sua prima collezione, gli applausi timorosi di allora come quelli calorosi di oggi, finalmente e interamente complici, Michele ha voluto fare un salto indietro, alle origini di quel tutto comune che, da decine di migliaia di anni, sottende alla cultura patriarcale e, negli ultimi due secoli, alla scoperta dell’infanzia come età e unità distaccata dal mondo adulto, ma da forgiare, indirizzare e ricondurre a modelli precostituiti. “Si dalla nascita, ai bambini viene imposto un modello di mascolinità dominante, vincente, oppressiva. Atteggiamenti, linguaggi e azioni finiscono col conformarsi progressivamente a un ideale di virilità machista che espelle la vulnerabilità e la dipendenza”. E non c’è niente di naturale in questa deriva, come direbbe qualunque genetista, ben conscio che maschile e femminile coabitano in ciascun essere umano: “Il modello” dice ancora Michele, “è socialmente e culturalmente costruito in modo tale da rigettare tutto ciò che non vi si uniforma. E questa mascolinità tossica finisce col nutrire prevaricazione e sessismo. Non solo: condanna gli stessi uomini a uniformarsi a modelli di virilità fallocratica pur di essere socialmente accettati”. Dunque, carnefici e vittime al tempo stesso, questi uomini che tanti, e non solo Michele, vorrebbero veder “disertare” schemi e uniformi patriarcali vivono solo nei primi anni il loro primo e ultimo momento di indipendenza, libertà vera. Non vuole proporre un “nuovo modello normativo”, Alessandro Michele: “Vorrei slegare ciò che era costretto. Rompere un ordine simbolico ormai inservibile” e perseguire il modello di una mascolinità che sappia accogliere anche la paura, l’affettività rassicurante, “gonfio di disordine e gravido di catene spezzate”. Ci auguriamo che questo messaggio possa raggiungere gli esseri che più di ogni altro sono complici del patriarcato: le madri.

 

I come Ironia. “Che cosa può star dentro quelle borsine?” dice il famoso e brillante collega inglese a Silvia Venturini Fendi osservando le minuscola borsina-gadget che, appese ai modelli ricalcati sulle famose shopper di carta gialla, rappresentano il clou degli accessori di stagione (qualcosa ci dice che l’uso che ne ha fatto il regista Robert Carsen nel “Giulio Cesare” di Haendel allestito di recente al Teatro alla Scala sia stato di ispirazione o, almeno, di conferma delle potenzialità). “Un soffio di ironia”, ribatte Silvia Venturini Fendi, che mai abbiamo visto serena come in questi ultimi sei mesi. Sottile, raggiante. E in passerella, questo nuovo stato di cose si vede tutto.

 

J come Jacquard. Sfumature di maglia jacquard anche nei cappotti, meglio se double face, morbidissimi, in lana lavorata. “Davvero pazzeschi”, come si dice nella moda, quelli di Kiton e di Tod’s, che ha presentato non ufficialmente, oltre a una collezione che rivisita in chiave contemporanea i classici polacchini e i mocassini iconici del marchio, anche il nuovo direttore creativo Walter Chiapponi, uno che ha l’aria di intendersi molto di storia della moda e soprattutto della sua evoluzione. Molto jacquard anche nei maglioni.

 

L come Lana Italiana. Ne abbiamo sempre prodotta poca, anche anticamente. Però, ottima a volerla riscoprire come stanno facendo Kean Etro, uno disposto a spendere davvero in qualità e sostenibilità, e Pier Luigi Loro Piana, l’uomo dietro alla grande e attuale riscoperta delle greggi di pecore Sopravissane dei Monti Sibillini di cui tutti parlano. Iniziato come intervento no profit a favore delle cittadine colpite dal terremoto del 2016, il progetto sta diventando il non plus ultra della qualità nazionale

 

M come modelli. Fatto salvo Prada, l’estetica del maschio che sfila è di nuovo virile, ma al tempo stesso avvolgente. Non sfacciata. Definiamola l’apparenza del maschio consapevole e non sbaglieremo.

 

S come stivali. Alti, da equitazione, da indossare insieme con i polacchini alti e allacciati.

 

V come Velluto. E’ uno dei grandi ritorni, colorato soprattutto e molto di verde e bordeaux (vedere alla voce Etro), ma quello che ci ha colpiti al cuore è firmato Giorgio Armani. Si vedeva la qualità della seta di cui era fatto anche dalle poltroncine del teatro, anche perché nulla prende la luce peggio del brutto velluto, che stride e crepita quasi. Questo era morbido come la carezza di cui tanti avrebbero voluto accarezzare i modelli, mozzafiato. La nota interessante è la manifattura, la lavorazione: montati e cuciti come felpe le giacche di velluto di Armani accompagnano perfettamente l’ideale di maschio morbido, confortevole e confortante, di cui parla anche Michele.

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