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Il Foglio Weekend

Alessandro Sallusti, ritratto di un biografo

Michele Masneri

Tanti giornali, tanti amori e tantissime copie vendute. Il gusto della sfida e del trash del direttore del Giornale

Ci sono due Sallusti. Uno è “Nosferatu”, il roccioso ex direttore di Libero, giornale di variopinta avanguardia reazionaria, e compagno decennale di Daniela Santanché, e poi c’è il Sallusti giornalista tutto d’un pezzo, serio, scrupolosissimo. C’è il Sallusti ormai nella stanza dei bottoni, che sussurra a Meloni, autore del libro che forse scalzerà Vannacci, “La versione di Giorgia”, intervista con la premier appena uscita per Rizzoli, e poi il Sallusti bravo ragazzo cattolico del lago di Como che ama la vita semplice.    

“E’ uno a cui piace cambiare spesso” raccontano suoi ex colleghi al Messaggero, giornale dove arriva per vie non consuete. Sallusti, nato a Como nel 1957, diploma di perito chimico-tessile, esordisce infatti nel ‘78 come cronista abusivo allo sport dell’Ordine di Como (il giornale della curia comasca che gli rimarrà sempre caro), poi al Sabato, house organ di Comunione e Liberazione, poi al Giornale una prima volta con Montanelli, poi al Messaggero di Roma dove diventa capo della cronaca nazionale. Ha fatto anche il fattorino, il benzinaio e pure il mozzo, racconta lui nel libro intervista a Meloni. Non si sa se su battelli lacustri o d’acqua salata.

La serie dei suoi cambiamenti e avvicendamenti è comunque infinita. Quando arriva al Messaggero diventa capo della cronaca italiana, un posto importante, inusuale per un non romano, ma poi raccontano che il direttore dell’epoca comincia a non sopportarlo. Lui non si lamenta ma dopo poche settimane presenta le  dimissioni, e torna a Milano, per ricominciare, da redattore semplice, al Corriere della Sera. “Arrivato al Corriere, però, che per molti sarebbe stato l’approdo definitivo, e dove aveva peraltro saputo fare un ottimo lavoro di squadra, a un certo punto se ne va pure da lì”, racconta al Foglio Paolo Mieli che è stato suo direttore.  

Poi l’incontro fatale con Vittorio Feltri, che conosce “alla sagra della salamella di Malnate”, ha raccontato Guido Mattioni sul Giornale. Feltri sta mettendo su Libero che per anni sarà la casa di Sallusti.  Un mentore che non scomparirà più dalla vita e dalla carriera di Sallusti. Sempre però tra strappi e ricuciture.   

Poi arrivano Gazzettino Veneto, Quotidiano Nazionale, poi appunto Libero, poi per oltre dieci anni al Giornale. Poi ancora Libero. Poi di nuovo al Giornale, di cui ora è direttore.  Sempre  insieme a Feltri. La staffetta con Feltri nella diade Libero-Giornale, dove si alternano come direttore/condirettore, ha poche similitudini in Italia se si esclude proprio quella di Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli al Corriere. I rapporti però non è che siano sempre stati idilliaci. “Nel 2008, quando ero direttore di Libero e lui direttore editoriale, gli editori Angelucci gli chiesero la mia testa e Vittorio gliela diede” ha raccontato Sallusti.  Feltri, ma è vero? “Niente affatto. Ma ogni rapporto di lavoro e di amicizia ha i suoi alti e bassi, comunque Alessandro è un bravissimo giornalista, tant’è vero che l’ho assunto cinque volte. Grande uomo macchina”, dice al Foglio.  Ma si aspettava che diventasse pure una firma di bestseller? “La speranza c’era”. I suoi libri li ha letti? “Adesso leggerò certamente quello su Meloni”. 

Adesso è nuovamente direttore del Giornale, un tempo foglio della borghesia di centrodestra, di nuovo in cerca d’autore, appena venduto dalla famiglia Berlusconi ai re delle cliniche romane Angelucci, che ne vogliono fare un’oasi di pacata moderazione rispetto agli espressionisti Libero e Verità. Nel nuovo Impero Unico della Carta di destra,  raccontano al Foglio che presto gli Angelucci, già proprietari di Libero e Tempo, si prenderanno proprio anche La Verità. Ma per quanto riguarda il Giornale, Sallusti l’8 settembre, data di insediamento, data significativa, ha scritto un editoriale alto e basso insieme, allo stesso tempo istituzionale e un po’ col sangue agli occhi.  “Saremo un giornale di opposizione, ovviamente opposizione alle sinistre che non accettano la sconfitta elettorale, ma anche al centrodestra nel caso qualcuno, per calcoli di bottega, provasse a tradire la fiducia data da milioni di italiani”. E qui è un po’ Fox News, un po’ destra americana. 

E poi però ridiventa bravo ragazzo del lago di Como.  Citando il cinquantesimo anniversario del quotidiano fondato da Montanelli, e inserendosi nel solco della tradizione e del lettorato: “come cinquant’anni fa ci mettiamo a disposizione per dare voce non a un partito, non a qualche potentato, bensì a quella borghesia moderata e liberale senza l’apporto della quale non è immaginabile che il Paese cresca e la società migliori” (auguri). 


In realtà raccontano che Sallusti non sia molto entusiasta, della nuova avventura, un po’ perché l’ingaggio è lo stesso che aveva a Libero. Ma sono i soldi che lo animano? “No, direi di no”, dice Feltri. Guadagna più lei o più Sallusti? “E che ne so, mica gli faccio i conti in tasca”. Ha cambiato tanti giornali. “Se è per questo io ne ho cambiati diciotto”. A chi gli chiede, a Sallusti, perché non è tanto contento di andare a fare il Giornale, lui pare risponda che un giornale moderato in un mondo ormai polarizzato dove non ci sono più lettori ma agitatori e agitati, a destra come a sinistra, non venderà mai tanto; sembra Murdoch quando gli chiedono di fare la Fox di centro, o il regista cialtrone René Ferretti in “Boris”, nell’ormai celebre “La qualità ha rotto il cazzo”. 

Vedremo. La sfida è ardua ma a Sallusti piace il rischio. Anche coi giudici. Uno dei rarissimi casi in cui una condanna ricevuta per diffamazione (di un magistrato) non venne sospesa con la condizionale, è toccato a Sallusti che nel 2012 è finito ai domiciliari per aver diffamato il giudice Giuseppe Cocilovo (poi graziato dall’allora presidente della Repubblica Napolitano che ha trasformato la pena in una multa). Napolitano poi però ha fatto causa lui a Sallusti qualche anno dopo, e l’ha vinta, quando Sallusti lo attaccò definendolo golpista.


Insomma cosa lo anima? “La voglia di cambiare sempre, di ricominciare ogni volta di nuovo”, dice Mieli. Anche con le donne.  Un seduttore, però sentimentale. Anche qui a due facce. “Uomo di grande sensibilità”, dicono. Lui alle donne piace col suo testone e il vocione basso e i silenzi celentaneschi. “Capitava sempre, si va a cena con una ragazza, tu la intrattieni tutto il tempo e lui non dice una parola, e poi lei torna a casa con lui” racconta un collega.  


“La prima moglie  è una donna di grande valore, Elisabetta Broli, ha scritto diversi libri importanti sulla Chiesa”, racconta Mieli. Dall’ambiente cattolico proviene infatti anche Sallusti, cattolicesimo lombardo in odore di Cl, genius loci a cui lui è molto affezionato. Tra le varie peripezie ogni tanto torna all’Ordine di Como, il giornale della diocesi che va a dirigere dopo la “cacciata” da Libero nel 2008 e che a un certo punto ha rilanciato da azionista. Dopo la moglie Elisabetta l’altra donna della sua vita è Danielona Santanché, anche qui un percorso abbastanza imprevedibile. Il timido perito tessile del lago di Como con la pitonessa. Sembra quell’episodio del film “Di che segno sei” di Sergio Corbucci in cui Renato Pozzetto, timido muratore di Laveno, si imbatte in Giovanna Ralli show girl televisiva.


Stanno insieme dieci anni turbolenti, ogni anno con Danielona è del resto come la vita dei cani, ne vale almeno tre. “Dopo dieci anni con la Santanchè il mio sogno stare in tuta a guardare Domenica In”, pare abbia proferito. Con la Pitonessa nella vita di Sallusti, ragazzo di lago, occasionalmente mozzo, arriva tutt’altra spiaggia, Forte dei Marmi. Lì tra i russi e i bresciani si è consumata la storia – questa volta da film tipo “Abbronzatissimi” – di una doppia coppia che ha fatto epoca. Sallusti infatti come si è detto era fidanzato con Daniela Santanché, e l’amica di Santanché Patrizia Groppelli era sposata con Dimitri Kunz d’Asburgo più diciotto cognomi. Poi a un certo punto il patatrac, le coppie che eran molto amiche si son disfate e riassortite e oggi Danielona sta col mascellone pseudoblasonato e Sallusti con Patrizia Groppelli. 

I due si son sposati con rito civile prima a Milano, officiante Beppe Sala, vicino di casa, con cui Sallusti intrattiene un rapporto di amicizia, e poi con rito balneare in Liguria, officiante Nicola Porro e testimone per lui Giuseppe Cruciani. Eccole qui le due facce, in città l’urbano sindaco pro Lgbt e ciclabili inviso al retequattrismo, e poi sulla spiaggia Porro e Cruciani. 

Oltre che mozzo, all’inquieto Sallusti piace anche pilotare l’aereo. A un certo punto quando stava al Messaggero si assentava spesso il pomeriggio senza dire nulla, e tutti pensavano a degli appuntamenti galanti e invece si dirigeva verso un non precisato campo volo, dove andava a scuola di pilotaggio fino a raggiungere il brevetto  civile, sorvolando insomma Roma mentre i colleghi ignari stavano chiusi nella cupola di via del Tritone. L’aereo, l’ultimo della sera, lo prendeva pure  da Fiumicino anche per tornare a Milano dal figlio Massimiliano, che oggi l’ha reso nonno doppiamente. Da non confondere con Giovanni Sallusti che è nipote. Già consigliere per la comunicazione di Meloni, è stato brevemente portavoce del ministro dell’Istruzione Valditara. Scrive su Libero e ha dato alle stampe un prestigioso volume presso Giubilei editore sull’ imprevedibile tema della cancel culture: “Politicamente corretto: la dittatura democratica”.


Oggi nelle pause del lavoro Alessandro Sallusti non pilota più ma viene interpellato dalla neomoglie Groppelli per dei siparietti nelle sue stories su Instagram. “Alessandroooo, che faiiiii?” E lui, celentanesco, un po’ burbero: “eh cosa faccio… lavovo”. A Forte i due sono fissi al bagno Alcione, di proprietà di Alessia Berlusconi, figlia di Paolo e ormai ex presidente del Giornale. Pettinato ed elegante (il bagno), niente a che vedere col Twiga della ex Pitonessa.  Sallusti imperversa in qualunque programma tv, destra e sinistra, Rai e Mediaset, trash e non trash,  sempre con la sua aria un po’ monacale, spesso in dolcevita nero un po’ da Carmelo Bene, a smorzare più che rinfocolare gli show più virulenti. Certo, ci sono gli scontri con Concita De Gregorio (che gli rimprovera di chiamarla Concita; “ah mi scusi dottoressa”); con Luca Telese (“coi comunisti non si può parlare”), con Myrta Merlino (ancora versione Capalbio a La 7: “ti vedo un po’ nervosetto”). Però tutto molto lontano  dalla galassia situazionista dei Mario Giordano, ecco. 


Diverso il “mood” della nuova consorte, opinionista fissa a Pomeriggio Cinque. Voci da Cologno Monzese sottolineano col Foglio come lei sia l’unica appartenente al vecchio gruppo di lavoro di Barbara D’Urso che non sia stata epurata nel nuovo corso piersilviesco. Forse per omaggio e rispetto proprio a Sallusti. Groppelli è più riposante, almeno non lo costringe alle sfacchinate tra sci, barche, shopping forsennati e prime alla scala in mise lisergiche come con la Pitonessa. 


Pitonessa che almeno per come la raccontano avrebbe dovuto aver un’etichetta “nuoce gravemente alla salute”, perché il ménage  a Sallusti ha causato non uno ma due infarti, uno dopo sei mesi di intenso fidanzamento, con apposizione di 3 bypass, e uno a fine storia, dovuto anche, raccontano, ai turbamenti del suddetto ménage molto usurante.

Tradimenti, forse anche reciproci, ma raccontano che Sallusti ci sia rimasto molto male non tanto e non solo per Danielona quanto per il mascellone, che considerava un amico. Dispiaceri che l’han portato fino al letto d’ospedale, per lo stress, e su quel letto di ospedale la più assidua è stata proprio Patrizia Groppelli, ex Asburgo, ex amica, e si sa che le storie nate sul letto d’ospedale son le più liete.

Forse però è caduto dalla padella nella brace perché Groppelli fa intensa e colorata  vita sociale, e raccontano che anche il matrimonio “intimo”, venti persone in riva al mare al Golfo dei Poeti, sarebbe stata un’idea diabolica del Molleggiato Sallusti. Lei minacciava infatti una festa per 250 invitati per i suoi 50 anni, e davanti a quel progetto devastante lui ha avuto la geniale idea: piuttosto, sposiamoci, però una cosa intima. E intima fu. 


“Sono una ex principessa”, ha detto Groppelli a Pomeriggio Cinque nel 2016. “La mia corona sono le corna. Sono il cervo reale”. Poi ha annunciato che avrebbe rinunciato al cognome dell’ex marito. “Ci sono donne che comperano il cognome dall’uomo, come una crema di bellezza, rinnegando così la propria famiglia e le radici”, magari riferimento a Daniela Garnero che si fa chiamare ancora Santanché. “Da oggi, sarò con orgoglio Patrizia Groppelli, non più principessa, semplicemente, la vostra Pat”. 

Tutto questo era molto prima che i veri Asburgo minacciassero sfracelli su Kunz l’usurpatore, e prima della decisiva inchiesta di Report sul caso Visibilia, che portò alla scoperta di una realtà drammatica: a San Marino, dove il non principe ebbe i natali, uno può inventarsi i nomi che vuole. Adesso le due coppie si evitano, non si sono mai più incontrate, neanche nella Forte dei Marmi fatale alla patria dove scorrazzano non solo loro ma anche “Giorgia” e Andrea Giambruno (sfrecciando in Porsche in cerca di maglioncini secondo la ricostruzione di Bisignani e Madron in “I potenti ai tempi di Giorgia”, Chiarelettere).

 

E sarebbe stata proprio Santanché a favorire l’ascesa di Sallusti al cuore del melonismo, fino a farlo diventare biografo ufficiale della Real casa della Garbatella.  Al Forte li si può vedere, Pat e Ale, al bagno Berlusconi, in tragiche tavolate tra opinionisti, reduci dal Grande Fratello e Isole dei Famosi, con influencer,  truccatori,  estetiste.  “Lei gli fa frequentare tutto un sottobosco micidiale dello spettacolo, ma lui ormai è abituato o meglio arreso dopo gli anni con la Santanché”, raccontano al Foglio. Lui è come se fosse ormai impermeabile al mondo un po’ maranza  che lo circonda, e così si spiegherebbe  la tenuta anche psicologica  partecipando a tutta callara ai talk anche brutali senza mai perdere la calma, agendo anzi da normalizzante. Nosferatu confidenziale. “Io lui e la Santanché li chiamavo Olindo e Rosa”, ricorda Feltri. Lui, Sallusti, col suo dolcevita nero e l’aria afflitta, mentre scorrono i mostri, al trash sembra appunto rassegnato, come se fosse un male necessario del tempo nostro.  

 

L’evento che gli ha cambiato la vita, concordano tutti, è stato Mani Pulite. Quando uscì sul Corriere la notizia del mandato di comparizione a Berlusconi durante il famoso summit a Napoli nel 1994 lui era caporedattore a via Solferino.   “E’ stato un signore”, dice Mieli, “perché la famosa sera dell’avviso a comparire lui sapeva tutto quello che era successo, ovviamente, ma poi quando è andato a lavorare da Berlusconi non ha mai rivelato nulla”. Mieli, lui, ha sempre peraltro detto di non esser mai stato ascoltato dai magistrati che indagavano su quella vicenda misteriosa. Sallusti invece ha raccontato una storia abbastanza buffa. “Il Corriere  ricevette fisicamente l’avviso di garanzia e lo pubblicò”, ha detto a Libero Tv, “e fummo avvisati che avremmo ricevuto una perquisizione per la fuga di notizie. Io diedi l’avviso di garanzia a mia moglie, che stava andando dal parrucchiere, perché non lo trovassero. Mia moglie venne raggiunta da un collega preoccupatissimo e, presa dal panico, andò nel bagno del parrucchiere, buttò l’avviso di garanzia nel wc, gli diede fuoco e tirò l’acqua”.  

 

Ci fu una vera giustizia in Mani Pulite, gli chiede l’intervistatore. “No”, risponde Sallusti, “parlano i numeri: quasi 500 delle 3mila persone coinvolte nelle indagini vennero prosciolte. Per altre 500 scattò la prescrizione, i restanti patteggiarono. Fu un’inchiesta fatta a spanne, violenta”. Di Mani Pulite resta “la mania di protagonismo dei magistrati”, sostiene, “il vero cancro della magistratura”. Secondo  Mieli  il libro “vero”, il libro “importante” di Sallusti non è quello con Giorgia Meloni “che non ho ancora  letto” bensì quell’altra intervista  con Luca Palamara, “Il Sistema”, un racconto hardcore sulla magistratura italiana, che, contro ogni previsione, scalò tutte le classifiche arrivando a essere primo per diverso tempo e vendendo 300 mila copie. Anche qui, libri seri e poi Libero, i talk, le pitonesse, gli influencer. Forse alla fine Sallusti è  il frutto maturo del mielismo, quella disciplina che si impose a un certo punto nel giornalismo italiano, mischiare l’alto col basso, disciplina che a un certo punto incontrò sulla sua strada il feltrismo, col situazionismo manganellaro dei titoli e il format di successo del tabloid mediterraneo. Mica facile galleggiare su tutto questo, tenere insieme tutto con la barra dritta; lui però ce l’ha fatta. Di lago o di mare, sempre mozzo rimane.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).