Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella “Dolce vita” di Federico Fellini, 1960 

luglio come il carnevale

I furori del magic July, che trasforma le città in parco-giochi per maschi

Berta Isla

Sono partite le carovane di mogli e figli per le case al mare. Quelle donne che sì, possono lavorare, ma non troppo: altrimenti come fanno a essere buone madri? Intano gli uomini rimasti a lavorare, poverini, si danno alla pazza gioia

Alcuni anni fa, tornata a Roma dopo diversi mesi passati all’estero, mi trovai per la prima volta a essere testimone di un fenomeno che sul momento mi parve incredibile e del tutto straordinario. Era piena estate, quell’anno che tornai a Roma dopo i miei mesi passati all’estero, un’estate calda, estenuante e profumata, un’estate molle, come sono le estati a Roma, pigra e senza tempo – un’estate come tante, l’estate che improvvisamente, uscita con delle amiche per bere un drink in un locale appena aperto dentro alle braccia bianche di Valle Giulia, mi capitò di essere corteggiata con dovizia di galanteria da un nugolo di uomini giovani, belli e anche abbronzati

  
Poco dopo il mio arrivo nel locale, un bellissimo cinquantenne con gli occhi più blu di Roma mi portò da bere. Il suo amico, una vera icona radical del mercato romano, si avvicinò anche lui a parlarmi, mi chiese che lavoro facessi. Un terzo, il meno avvenente di tutti, dovendosi un po’ sforzare per attirare l’attenzione, lo prese in giro sonoramente per la serietà della conversazione. Che programmi avevo per l’estate, mi chiese il meno avvenente – mancando un po’ di originalità, a dire il vero, per un’entrata in scena così bulla. Se ne avvicinò poi un quarto, che già conoscevo di vista, scambiammo due parole, non avevo mai capito quale fosse la sua vera occupazione nella vita, ma di lui si diceva, come del resto di tutti loro, che fosse molto ricco. 


In quella sera apparentemente come tante in poco meno di mezz’ora avevo conosciuto, e mi trovavo circondata come un’ape regina, da una mezza dozzina di uomini, tutti allegri, tutti charmant. Almeno la metà di loro, anche belli. 


In un attimo indimenticabile, mi sentii magnifica. Mammamia questa visagista iraniana di South-Ken che miracoli per soli duecento pound a seduta. Pensai che lo sport. Che lavorare un pochino di meno.


Pensai che lo vedi ad aver lasciato un uomo a trentacinque anni semplicemente in quanto non ne ero più innamorata – ma perché mai avevo avuto tanta paura della solitudine, rimanere fedeli a sé stessi è faticoso, a volte doloroso, persino sfiancante, ma restituisce frutti munifici. 

  

Dopo mesi di uomini che faticavano a guardarti dritta negli occhi, finalmente di nuovo alle prese con il maschio italico, pensai

    
Pensai, in un impeto di sovranismo erotico, che meraviglia, dopo mesi di uomini che faticavano a guardarti dritta negli occhi, finalmente di nuovo alle prese con il maschio italico, croccante e senza indugi. Che bellezza questa estate romana, pensai, mai mi ero accorta che fosse così bella. 


Quella sera mi riaccompagnò a casa l’icona radical sulla sua vespa blu. Provò a baciarmi sul portone, mi schermii, mi sottrassi, lui rise, mi girai un’ultima volta con le chiavi già nella toppa della serratura. Era lì, molto bello, molto chic, mi sorrideva. Mi addormentai felice nel mio letto, pienamente soddisfatta di me, della mia solitudine e delle mie lenzuola di lino, mi addormentai pensando che si apriva dentro di me un’estate invincibile.  

   
Mi svegliai il giorno dopo, venerdì, un po’ in ritardo per il lavoro, con il telefono stranamente silente e una mesta improvvisa intuizione. Tutta quella magia, quel friccicore. Quel Sex and the City in versione romana. Non ero io, quel profumo di lillà, né la visagista iraniana. Quella cosa lì era il Magic July

 
Incredibile che, presa dal momento, non me ne fossi neppure accorta – il Magic July era sempre stato lì, sotto ai miei occhi, era una vita, era da almeno dieci anni che vedevo, da fine giugno, cambiare gli equilibri della città e diverse energie prendere il campo. Era da anni che sapevo che allo scoccare dell’ultimo weekend di giugno, carovane di mogli, figli e filippine vengono deportate nelle case al mare – la versione italiana e contemporanea del trasferimento nelle dacie estive, l’esodo delle donne fugate. 


In questo mese, la dorsale Tirrenica, dalla Liguria, alla Versilia, passando da Bolgheri, Argentario e Capalbio, fino alle molli dune di Sabaudia, si ripopola di famiglie senza capo-famiglia. E mentre noi crediamo di vivere in una società che evolve in una direzione, nell’altra direzione si muovono e tirano macchine cariche di donne, tate e bambini delle buone borghesie cittadine, lasciandosi alle spalle gli uomini – professionisti, giornalisti, imprenditori – stoicamente rimasti in città a portare avanti la carretta. 

   
E così, in questo mese di luglio, le città si trasmutano in parco-giochi per maschi ricchi e pieni di energia, vogliosi di improvvisazione e avventura, maschi che non cercano solo sesso ma che spesso non resistono al romanzetto d’appendice e al brivido delle prime uscite in piena regola, maschi che cercano giri notturni in vespa, maschi che tolgono le fedi o forse non le hanno mai portate, maschi ricchi che offrono cene in ristoranti magnifici, maschi che sanno scegliere i vini, maschi che, incredibilmente, chiamano l’ultima telefonata serale alle loro mogli il “last touch” – dopo il quale, che si scateni l’inferno. Maschi che le settimane di luglio sono faticose e bellissime, e il weekend ci si riposa nella pace del ricongiungimento famigliare. 

  
Maschi che hanno aspettato luglio tutto l’anno come si aspetta il Carnevale di Rio, quanti soprusi durante l’inverno, quanti rospi ingoiati, con il pensiero felice nella testa del Magic July. 

   
Maschi che quanto caro costa, questo mese di libertà. Molto, molto caro, ci dice un calcolo approssimativo. Un mese di ombrellone all’Ultima Spiaggia di Capalbio, millecinquecento euro, il conto aperto al bar per il pranzo di moglie, figli e filippina, un centinaio di euro al giorno. La benzina avanti e indietro, un budget per gli acquisti di caftani e cavigliere dai venditori in spiaggia, le cene fuori a Roma e quelle con la famiglia nel weekend, il corso di vela per i bambini, l’affitto della casa per i più poveri che non l’hanno di proprietà – questo Magic July è una spesa immensa, un salasso, ma è il prezzo del Carnevale – come cantava il maestro Tom Jobim, A gente trabalha, o ano inteiro, por un momento di sonho, pra fazer a fantasia de rei ou de pirata ou jardineira. [trad. la gente lavora un anno intero, per un momento di sogno, per fare la fantasia, del re del pirata e del giardiniere]. 

  

Una società bugiarda: da un lato la religione dell’indipendenza, dall’altro l’impegno femminile fuori dalla famiglia è concepito come passatempo

    
Questo è il fenomeno che era stato sotto ai miei occhi per una vita, tra i miei colleghi, tra i miei amici e persino tra i parenti – in una società spaccata e schizofrenica, una società intrinsecamente bugiarda, in cui da un lato ci è stata insegnata la religione dell’indipendenza, dall’altro una fetta considerevole della buona borghesia, ironicamente spesso quella che si è potuta permettere studi costosi e master all’estero, concepisce l’impegno femminile fuori dalla famiglia sostanzialmente come un passatempo. 


Alcuni mesi fa, a cena con due miei vecchi colleghi di dottorato, quarantenni nati in famiglie perbene e di sinistra e a loro volta creatori di famiglie perbene e di sinistra (di fatto una immutata iattura) entrambi con mogli con titolo di studio di secondo livello, mi spiegarono, pacatamente, che se avessi voluto figli avrei certamente dovuto smettere di fare il mio lavoro. Che senz’altro non avrei potuto essere una buona madre, e al contempo una donna impegnata. Mi spiegarono, anche, che è giusto che le mamme abbiano un lavoro, al giorno d’oggi, che non se ne stiano tutto il giorno chiuse in casa, purché si tratti di un lavoro flessibile tale da lasciare il tempo e lo spazio necessari per dedicarsi come si deve alla famiglia, e poter passare l’estate con i ragazzi. Per poter essere lì, tutte le volte che i ragazzi escono da scuola. 

  

La vita è questione di scelte, ma solo quella delle donne, in quella degli uomini c’è spazio per tutto, essere buoni padri e professionisti di successo

    
Lavori poco impegnativi, dunque – dai quali debbo considerare doversi escludere il mio lavoro, ad esempio, il lavoro di manager, amministratore delegato, il lavoro di business lawyer, il lavoro di primopresidentedelconsigliodonna (anche quello escluso), il lavoro di primo comandante di una spedizione spaziale (escluso), cardiochirurgo neonatale (sempre escluso). Giornalista di guerra? Escluso. Etc, etc (per sicurezza escluso). Ho domandato ai miei amici cosa pensassero delle battaglie sulle quote rosa, sul tetto di cristallo, il congedo parentale paritario, la parità salariale. Ho domandato ai miei amici se alle loro figlie femmine avrebbero pagato le scuole migliori o le avrebbero invitate a imparare a ricamare al tombolo. I miei due amici perbene e di sinistra mi hanno spiegato che le battaglie sono giuste. Mi hanno assicurato che, in quanto uomini perbene e di sinistra, senz’altro le supportavano fermamente. E’ giusto, mi hanno detto, che le donne abbiano successo e facciano carriera esattamente come gli uomini – solo che, mi hanno spiegato, sempre pacatamente, è chiaro che questo poi implichi che non si sia altrettanto brave come madri. Che la vita è questione di scelte, e bene sarebbe scegliere a monte a cosa dedicarsi – anche se poi in realtà, a ben guardare, solo la vita delle donne è questione di scelte, quella degli uomini è una vita grande, in cui c’è spazio per tutto, per essere dei buoni padri, per essere dei professionisti di successo, per le crisi di mezza età e i tornei di padel, per la passione per le Porsche d’epoca, vini d’annata e orologi costosi, per gli improvvisi viaggi di lavoro, spesso in Austria, per i trafiletti su Milano Finanza. 

   
In quel momento, mentre annuivo laconicamente, avrei voluto chiedere a tutti gli uomini d’Italia, ma anche solo a tutti i miei conoscenti, avrei voluto dire alzino la mano tutti quelli che la pensano così. Tutti quelli che supportano le battaglie per la parità, tutti quelli che alle cene si scandalizzano per l’ultima uscita della ministra Roccella, che guardano Samantha Cristoforetti da (fu) Fabio Fazio, quelli che quanto è maschilista Giorgia Meloni – in quel momento li avrei voluti prendere uno per uno, i miei conoscenti progressisti, avrei voluto sapere quanti di loro, mentre supportavano le cause femminili, avevano messo con un asterisco in basso a destra, a caratteri minuscoli, la postilla che però la conseguenza inevitabile è non essere una buona madre


Ho pensato che sarebbe importante, che varrebbe davvero la pena, parlare di questi temi allo scoperto, stanare piano piano il reale punto di vista delle persone, verificare, una volta per tutte, se questa nostra borghesia italiana sia davvero la borghesia più conservatrice e noiosa d’Europa. 

  

Si annulla l’erotismo: le buone madri neanche si imboscano più con gli istruttori di tennis, e gli uomini del Magic July sono un po’ grotteschi

   
Ho pensato tutto questo, mentre annuivo laconicamente ascoltando le spiegazioni dei miei due amici perbene e di sinistra, ma non dissi nulla. Ho pensato – ma neppure questo dissi, per non urtare le loro sensibilità – che queste buone madri borghesi sono spesso le stesse che a luglio nutrono le schiere delle macchine confortevoli dirette verso i litorali, lasciando i propri mariti alla mercé delle non madri, o delle madri meno buone, anche loro rimaste in città a portare avanti la carretta. In alcuni casi, donne che si sforzano di trovare una nuova formula, a volte con successo, molto più spesso venendo ricacciate violentemente dentro questo paradigma stantio e usurato. Un paradigma nel quale non c’è rottura degli schemi e in cui si annulla persino l’erotismo – ché in fin dei conti le buone madri in attesa nei litorali neanche si imboscano più con gli istruttori di tennis, saranno almeno vent’anni che questi istruttori di tennis non battono chiodo, e gli uomini del Magic July sono pavidi, un po’ grotteschi, e spesso inutilmente sopra le righe – d’altra parte come chiunque si trovi a dare un senso alla propria vita nell’arco di venti giorni lavorativi. Come chiunque si trovi a cinquant’anni a mandare in scena la propria versione ventenne, solo più ricca e deprivata dei sogni, se mai ve ne siano stati. Come chiunque, in un’epoca in cui è consentito essere tutto e desiderare tutto, resti ancorato a un immaginario banale e sterile, in cui si desiderano solo le cose a portata di mano. 


Mi sono domandata spesso, in queste ultime settimane, se adesso che è morto il santo protettore Silvio Berlusconi, ci sia spazio per altri modelli meno usurati. 

 
Quell’estate, alla fine scelsi il cinquantenne con gli occhi più blu di Roma – non aveva una conversazione brillante, ma era un gentiluomo e, sorprendentemente, era l’unico divorziato. A differenza mia, non cercava l’amore, né una relazione stabile, né una nuova famiglia: me lo fece capire molto chiaramente già dal primo aperitivo, ne apprezzai sincerità e coraggio, passammo insieme qualche settimana divertente e ora siamo buoni amici. L’icona radical e alcuni altri dello sciame, li ho incontrati spesso il weekend al mare con le loro famiglie, salutandoli con la serenità di non aver mai interferito nel loro ménage familiare. 
E a proposito: l’unica donna che conosco, nella mia cerchia, ad avere un proprio Magic July, è la mia amica F

  
E io le mie speranze le dedico a lei, che a luglio spedisce la sua splendida famiglia al Circeo, e senza farne un vanto – senza grandi scene, senza reclamare quote rosa e prendere a testate il tetto di cristallo, senza darsi arie da suffragetta –  ha trovato la sua formula nell’amore, la mia amica F. che è una madre eccezionale e una professionista impeccabile e di successo, una moglie divertente, la mia amica F. che ogni giorno si sveglia e fa di testa sua. Le serate ai cinema arena insieme a lei sono il mio Magic July.