Il calcio secondo Pecci

Marco Pastonesi

Il profeta Eraldo. L’umanità di uno sport che nonostante tutto resta il più popolare. Un libro

Se amate le storie, quella su Maradona: “Contro la Juve vincemmo 1-0 con una sua magia. Punizione a due in area bianconera. Io sono sulla palla e la barriera è vicinissima e formata da gente prestante. ‘Tocala un pochino indietro’, mi dice. ‘Diego, la palla non ci passa’, rispondo. ‘Tocala, te digo!’. ‘Ma non ci passa’, insisto. ‘Tocala!’. Be’, c’è passata. La sera a casa suono al suo campanello e gli dico: ‘Che assist che ti faccio io, eh Diego!’. ‘Fangulo, Eraldo’”.

  

Se amate gli aneddoti, quello sul massaggiatore Ulisse Bortolotti: “In panchina sedeva accanto all’allenatore ed era buffo quando, in un momento tirato della partita, all’errore di uno di noi gridava: ‘Creten te e chi t’fa zugher’ (cretino te e chi ti fa giocare). Il Petisso (Bruno Pesaola) lo guardava e sorrideva”.

   

Se amate le curiosità, quella sul portiere Attilio Santarelli: “Si raccontava che non ci vedesse benissimo di sera per cui in occasione delle partite in notturna chiedeva a Ulisse di posizionarsi dietro la porta che difendeva e aiutarlo. ‘Tua Tilio’ (prendila Attilio) diceva Ulisse e Attilio parava. ‘Fora Tilio’ (fuori Attilio) e Attilio lasciava andare la palla. Una volta al ‘Fora Tilio’ la sfera incocciò il palo interno e finì in rete. Santarelli guardò con viso stupito e interrogativo Ulisse che disse: ‘Am son sbagliè Tilio’ (mi sono sbagliato Attilio)”.

   

Se amate le battute, quella sul portiere Claudio Garella, “che parava tutto ciò che c’era da parare, a volte qualcosina di più, ma lo faceva usando spesso i piedi, l’addome, il sedere, le gambe”, tutte le parti del corpo utili: “Un giorno, prima di scendere in campo contro la Fiorentina, Giovanni Galli si avvicina a Luciano Castellini, allenatore dei portieri del Napoli, e gli chiede: ‘Ma glielo hai detto a Claudio che, se la prende con le mani, non è rigore?’”.

   

Se amate il calcio, anzi, il pallone da calcio, se amate quel gioco undici contro undici, lo stopper che mena, il centravanti che sfonda, l’ala che dribbla, i giocatori che giocano a carte e che a carte si giocano il bicchiere di vino all’osteria, che frequentano le cene organizzate dai tifosi, che si fanno il lancio dei gavettoni e lo scherzo dei palafrenieri, allora Ci piaceva giocare a pallone (Rizzoli, 254 pp., 17 euro) è il vostro vangelo ed Eraldo Pecci il vostro profeta. Perché qui c’è da ricordare e ridere, c’è da commuoversi e rimpiangere, c’è da scoprire tutto quello che i giornali non hanno scritto, le tv non hanno mostrato, le radio non hanno gracchiato. C’è l’umanità e l’umanesimo di uno sport oggi inquinato e rovinato, e invece il più popolare e letterario. Pecci, che nella sua prima vita ha fatto il centrocampista (Bologna, Torino, Napoli, Fiorentina, Vicenza e Nazionale) e nella seconda, adesso, il commentatore televisivo, qui si rivela un semplice, allegro, ispiratissimo narratore. Trova un posto perfino per Giulio Andreotti, ironico e lapidario come nessun altro: “A me la Germania piace talmente tanto che ne voglio due”. Altri tempi, davvero.

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