Con molta cura

Alessandro Moscè

Severino Cesari
Rizzoli, 429 pp., 19 euro

Un libro che non è un romanzo, né un saggio, né un diario. E’ un po’ di tutto questo in un insieme compatto di descrizioni, citazioni, considerazioni, sentimenti. Documentato, lineare, scritto con la sagacia dell’editor che conosce la maestria della narrazione da diluire come le gocce di un farmaco. Severino Cesari (venuto a mancare il 25 ottobre di quest’anno), storico direttore per vent’anni di Einaudi stile libero con Paolo Repetti, aveva molto da dire. Ora sferza l’animo di chiunque si imbatta in queste pagine brucianti. Con molta cura è la storia di un uomo che ha subìto il trapianto di un rene, un’ischemia e al quale è stato accertato un tumore al colon al quarto stadio. Eppure sarebbe riduttivo inquadrarlo in una “vita minore”. Il libro non si condensa in un’aria funesta, drammatica.
E’ un’esplosione di vita e di resistenza, non di precarietà e frustrazione. Un libro di stupori. Stupore quando l’io narrante riesce finalmente ad aprire una bottiglia d’acqua e brinda soddisfatto. Stupore per la gioia e il vigore di continuare una battaglia con un metodo efficace di cura. Stupore per un volto bello e ascetico, per un pino “parlante”. Stupore per i gesti compulsivi dei pappagalli, di un cane maltese, di un gatto mezzo persiano. Scrive Cesari: “In realtà l’unica cosa che conta e che vale è la cura che fai ogni momento, quella che fai adesso”. Prendersi cura di sé e degli altri, condividere il male e non esiliarsi, aprirsi alle sofferenze senza vergogna. Spinto a uscire allo scoperto dalla donna che ama, Severino Cesari gode di poco: un cappuccino di riso, una pagina scritta, un libro letto, una “piccola cronaca”.
Suoni, voci, azioni da una casa e da un ospedale si alternano a un buongiorno con Melville, Stevens, Rilke, Bulgakov, con un passo del Vangelo. “Qualunque cosa accada mi curo”, ribadisce un paziente che può permettersi, dopo mesi, di mangiare finalmente un piatto di mazzancolle, scampi e gamberi. Con molta cura è un libro indefinibile non solo perché il male viene circoscritto e si apre in un orizzonte tematico più vasto, ma anche perché si fonda sull’esaltazione delle meraviglie per “destinatari inconsapevoli”, i lettori, la gente, gli amici di sempre. Lo stupore, dicevamo, come un sole che splende dentro una camera anche nel solstizio d’inverno, lungo scale di luce. E’ il bagliore dell’affetto, della solidarietà, dell’energia trasmessa da chi ci guarda in un miracolo giornaliero. Cesari è capillare nella sua scrittura, svuota torpore, sonno, stanchezza, allegria, gratitudine.
Ci colpiscono le frasi risolutive: “Forse dovremmo tutti abituarci a sentire quando è prezioso e unisce il momento in cui ti accade di vivere”; “Voglio condividere con tutti voi la gioia perfetta di risvegliarsi con la meravigliosa sensazione di star bene”; “Di nuovo la gioia è possibile dopo i giorni dell’astenia e dell’incertezza, delle possibilità che più non hai”; “Un senso di gioia per la comprensione che il tempo è uno solo, è fatto di partenze, ritorni, isole, eritemi che sono forse sfoghi forse no”.
Il dialogo di Severino Cesari è amore, è nutrimento, è rivelazione necessaria di sé. E’ una grande fede. Anche quando un medico dice che la guarigione non sarà possibile, ma si può cronicizzare la malattia non smettendo la cura. Con molta cura dimostra che il male non si vive solo sul proprio fisico e sulla propria psiche, che la cura è per tutti, come il bene, la felicità che fiorisce da una subdola neoplasia, dal cielo, dalla luna, dalle colline delle Marche e dell’Umbria, dall’Esquilino all’alba, sul punto più alto dei sette colli.

 

CON MOLTA CURA
Severino Cesari
Rizzoli, 429 pp., 19 euro

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