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No, la supplenza e l'interventismo della magistratura non sono normali

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La proposta della Commissione Ue per la riforma del Patto di stabilità costituisce un passo avanti, ma gli aspetti da rivedere non sono pochi. Uno dei punti principali sta nel fatto che, se alla regole si sostituisce la discrezionalità del giudizio, di volta in volta, della Commissione sui piani dei singoli paesi, deve essere chiaro che in questo modo ci si sposta sul terreno dei rapporti “negoziali” e delle rispettive forze che, a loro volta, dipendono direttamente o indirettamente dall’esito delle elezioni europee. E’ una sorta di “legge” che si forma in via contrattuale con tutte le conseguenze che ciò comporta. Non si tratta, però, di ritenere preferibili le regole quali che siano alla discrezionalità, bensì di considerare migliore, rispetto a quest’ultima, un determinato tipo di regole non certo lassiste, ma neppure ispirate a un irrealistico rigorismo ancora dominato da una visione che si rifà all’austerity. Naturalmente, il negoziato si sposta, in questo caso, nella formazione delle norme che dovrebbero essere, come ogni regola, generali e astratte. Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia

Suggerirei una riflessione pacata e più schematica sul tema del Patto di stabilità. Il nuovo Patto di stabilità sarà meno rigido di quello precedente, meno rigido di quello  che era prima delle deroghe subentrate durante la pandemia, e sarà un po’ più rigido rispetto a quello che abbiamo conosciuto dopo la pandemia. Il Patto di stabilità però in versione rigida, quello per capirci che costringe ogni paese ad avere un deficit pubblico non superiore al 3 per cento del pil, è un Patto di stabilità che l’Italia ha sempre rispettato, persino ai tempi del governo gialloverde, e avere un patto più flessibile di quello comunque andrà, se davvero così andrà, se davvero la Germania lo renderà possibile, dovrebbe essere  salutato dall’Italia in modo positivo, nella consapevolezza poi che i vincoli che dovrebbero maggiormente preoccupare il nostro paese non sono quelli esterni ma sono quelli interni e sono tutti i provvedimenti che mancano per rendere l’Italia un paese più efficiente rispetto a quello che è. Non ce lo chiede l’Europa: ce lo chiede solo il buon senso. 


Al direttore - Si dice che, dopo la sentenza della Cassazione sulla trattativa stato-mafia, ingenti quantitativi di Maalox siano stati acquistati dalla redazione di un quotidiano nazionale specializzato in scoop che si concludono con un flop.
Michele Magno

Non ci starà mica dicendo che il Fatto non sussiste?


Al direttore - Caro Cerasa, lo so, i titoli rispondono a un’esigenza di enfatizzazione e, non di rado nella prassi giornalistica possono non rispecchiare compiutamente il contenuto dell’articolo. Ma forte è stata la mia sorpresa nel leggere sul Foglio del 28 aprile il titolo “Nuove resistenze. L’ideologo di Magistratura democratica indica ai colleghi un fronte per costruire un 25 aprile nelle aule giudiziarie. Brividi. Resistenza nelle aule giudiziarie. Aiuto!” apposto a un articolo in cui si riportano diversi passaggi di un saggio pubblicato dal magistrato Nello Rossi sulla rivista Questione Giustizia. Non solo i termini “Resistenze”, “Resistenza” “25 aprile” non compaiono mai nel saggio, ma sono concetti estranei al discorso sviluppato. Cerco di portare un contributo in una linea ben lontana dalla “Resistenza nelle aule giudiziarie” estranea a me, quanto a Rossi. In uno stimolante saggio dal titolo “Occidenti e modernità” , appena uscito per il Mulino, lo storico Andrea Graziosi scrive: “L’allargamento continuo di ‘diritti’ può quindi verificarsi, e si è per fortuna verificato nei due secoli di un Moderno che ha posto le condizioni perché ciò fosse possibile. Ma queste condizioni possono anche venir meno, facendo esplodere – a partire come vedremo in special modo dai diritti sociali, i più ‘costosi’ la contraddizione tra discorso metafisico e realtà” (p.149). Declino demografico, arrestarsi della crescita, crisi del welfare sono oggi “il problema” delle nostre società. Spetta alla politica misurarsi con questi elementi di crisi, ma proprio in queste situazioni il ruolo di garanzia del terzo potere, il giudiziario, viene per così dire esaltato. E’ compito di un giudiziario indipendente vigilare, in applicazioni dei princìpi costituzionali, affinché le tensioni sui “costosi” diritti economici e sociali non si traducano in accentuazione delle discriminazioni a danno delle posizioni più deboli, quando non addirittura in affievolimento dei diritti politici delle minoranze. Sì, delle minoranze, perché nelle liberaldemocrazie questo è il ruolo di un giudiziario indipendente. Viene citato un passaggio di Nello Rossi, “In moltissimi campi della vita sociale ed economica è il giudiziario ad intervenire in esclusiva, o almeno in prima battuta, nella ricerca di soluzioni di problemi  inediti e talora incancreniti  dalla paralisi e dall’inerzia della politica”. Non è altro che una constatazione: basti pensare ai ripetuti recenti interventi della Corte costituzionale di fronte alle inadempienze del legislatore. In altro passaggio Nello Rossi riprendeva, adesivamente, una osservazione del giurista Giovanni Tarello il quale, nel 1973, segnalava “ il rischio che – essendo la magistratura un corpo detentore di potere largamente indipendente – essa potesse sviluppare tendenze di gestione autonoma del potere dando vita a una sorta di Nasserismo (non di giovani ufficiali, ma) di giovani magistrati”. Sul tema della “supplenza” della magistratura, sui dati di fatto e sui rischi in molti abbiamo da tempo riflettuto. In più occasioni è capitato a me di denunciare i danni indotti dall’indebito “protagonismo” di taluni magistrati, soprattutto pm. In un intervento del novembre 2016 in una cerimonia alla Università Statale di Milano vi dedicavo una battuta in conclusione: “E’ stato talora paradossalmente invocato  come principio di eguaglianza,  applicare ai colletti bianchi la stessa caduta di garanzie, la stessa sciatteria  e lo stesso atteggiamento forcaiolo riservato normalmente ai poveri cristi”. Il tema è oggetto di costante riflessione anche tra i magistrati ed è rilanciato nello scritto di Nello Rossi: “Eguaglianza di fronte alla legge può dunque significare, nella prassi dei giudizi penali, due cose diverse e opposte. Che si vogliono trattare i soggetti potenti con la stessa durezza e sbrigatività riservate ai clienti tradizionali della giustizia penale oppure che si intende riservare i devianti che frequentano con maggiore intensità le aule penali il livello di garanzie prestate per il cittadino che incappa nelle maglie della giustizia penale”. Il termine “garantismo” viene spesso strumentalizzato e stravolto, come ci segnala l’analisi di Enzo Roppo nel denso volume “Garantismo. I nemici, i falsi amici, le avventure” (Baldini+Castoldi 2022), ma il garantismo penale deve essere presidiato con cura nel confronto tra dottrina giuridica, magistratura e avvocatura. La stampa generalista ha un ruolo primario nel rendere accessibile queste tematiche oltre il campo dei tecnici del diritto.
Edmondo Bruti Liberati

La sua pacata e interessante riflessione è uno spunto utile per alimentare il dibattito, caro Bruti Liberati, ma dalla lettura del suo intervento non posso dire di sentirmi sollevato. Per una ragione semplice: lei, mi sembra di capire, considera normale quello che a noi non sembra normale. E ciò che a noi non sembra normale è avere una magistratura che teorizza la necessità di dover impegnarsi ad avere “un incisivo ruolo di garanzia dei diritti individuali e della dignità delle persone”. Questa si chiama supplenza. Questo si chiama interventismo. Questo significa voler mettere nelle mani della magistratura un compito che non dovrebbe appartenere al mondo della magistratura: occuparsi non giuridicamente della legge, ma politicamente dei diritti. Grazie di cuore.

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