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Lettere

Al Pd serve un leader che possa governare l'Italia, non solo le correnti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Mi aiuta a trovare qualcosa di più stupido e grottesco delle fotografie di Pelé corredate da quelle di Maradona?
Maurizio Crippa


 

Al direttore -Ho imparato che non esiste un partito degno di questo nome senza un’organizzazione radicata nella società, una cultura politica condivisa, un’idea di paese, una leadership forte, riconosciuta e accettata dal gruppo dirigente e dagli iscritti. L’intendence – ovvero le alleanze – suivra, come diceva il generale De Gaulle. Ora, quando queste risorse latitano troppo a lungo, lo spettacolo poco edificante di capicorrente litigiosi e narcisi è inevitabile. Adesso nel dibattito congressuale del Pd non c’è candidato che non invochi un radicale cambiamento rispetto al passato, magari spalleggiato dai notabili che quel passato lo hanno voluto e costruito, incassandone peraltro incarichi prestigiosi. Mi permetto di dubitare, quindi, che coloro i quali si sono formati per diversi lustri nella scuola del governo e del sottogoverno “a prescindere”, siano oggi in grado di rifondare un partito non più abituato a sedere sui banchi dell’opposizione. Ho pertanto ragione di credere che, se saranno i soliti noti a dare le carte al tavolo da gioco, la buona novella del cambiamento rischi ancora una volta di essere servita sul piatto freddo del gattopardismo. In tal caso, il Pd sarebbe destinato a un declino che potrebbe perfino essere inarrestabile, a uscire di scena come quei personaggi secondari che scompaiono al primo atto, quando il dramma è appena cominciato.
Michele Magno

 

La fine del Pd, caro Magno, mi sembra una notizia fortemente esagerata, e d’altronde si capisce bene che prima di uccidere un partito che può vantare qualcosa come 30 mila amministratori locali di tempo ce ne vuole. Ciò che invece non si capisce bene, a prescindere da quella che sarà la sua guida futura, è il posizionamento, le sue idee, i sui progetti, il suo tratto identitario e il modo in cui tenterà di dotarsi non di un semplice capo del partito, buono per amministratore le correnti, ma di un buon capo, un vero leader, capace di saper amministrare un giorno non solo un partito ma anche un paese. I partiti che si dotano di un possibile presidente del Consiglio sono partiti che possono avere un futuro. I partiti che scelgono di separare il ruolo di capo di partito dal ruolo dell’eventuale capo di governo sono partiti destinati a lungo a coltivare la più pericolosa delle vocazioni: quella eternamente minoritaria. 


 

Al direttore - Attendere di valutare la qualità  delle nomine o delle conferme dei manager di imprese ed enti pubblici direttamente o indirettamente facenti capo al governo è un appuntamento importante per quel che l’attesa significa, soprattutto  per le scelte che compirà  la presidente  Meloni. Non bisogna poi dimenticare che, nello sfondo, vi  è pure la nomina  del nuovo governatore della Banca d’Italia. In ogni caso, occorrerebbe, mentre si parla di “spoils  system” all’italiana e  si ricorre all’impiego di espressioni inaccettabili quale quella dell’uso del “machete” per selezionare i nominandi, che  il  governo proponesse, per tali nomine, una regolamentazione della valutazione  oggettiva dell’opera svolta dai manager in carica, nonché dei criteri, requisiti,  vincoli, ma anche  delle incompatibilità e dei conflitti di interesse da prevenire. Una regolamentazione da sottoporre alle Camere e che preveda pure audizioni parlamentari di coloro che sono  designati prima della nomina definitiva. Sarebbe  una innovazione  sostanziale.
Angelo De Mattia

 

Il tema delle nomine è cruciale per capire di che stoffa è fatta una leadership e ancora di più sono cruciali le nomine che passeranno solo dalle mani del governo. Cosa conterà? Competenza o fedeltà? Lealtà o esperienza? Mercato o complottismo? Rimando sul tema a uno splendido passaggio di un articolo pubblicato ieri sul nostro giornale firmato dall’amico Oscar Giannino. “Il criterio dei nominandi scelti da Giorgia Meloni ci dirà se il suo progetto di destra moderna si ispira ai criteri di scetticismo, competenza tecnica ed equilibrio tra poteri dello stato di diritto tipici della destra liberale, che crede in riforme organiche che cambino un paese dal basso in alto. Oppure se è quello della ricerca di fedeli strumenti di attuazione di un piano inteso a cambiare lo stato dall’alto in basso”. Perfetto.

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