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Rileggere Flaiano per descrivere l'attuale stagione dell'Italia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità” (Ennio Flaiano).
Michele Magno

 

Rispondo con un altro Flaiano, che avrebbe probabilmente usato queste parole per descrivere l’attuale stagione dell’Italia: “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi”. 


 

Al direttore - Alzi la mano chi, nei giorni scorsi, non ha commentato la sentenza sul “palpeggiamento in diretta tv” nei confronti della giornalista Greta Beccaglia. Tra chi ha pensato che una condanna a un anno e mezzo sia uno sproposito e chi ha visto nella condanna una punizione forse severa ma tutto sommato giusta il caso ha diviso l’opinione pubblica, giuristi inclusi. Ma come stanno davvero le cose? Cosa si intende, ai sensi del Codice penale, per violenza sessuale e perché in casi del genere non è possibile parlare di molestia? La pena applicata è davvero sproporzionata? E perché in altri casi che potrebbero apparire simili l’indagato è stato invece archiviato? Uno dei primi temi di discussione è quello relativo alla correttezza dell’inquadramento della condotta all’interno dell’art. 609-bis del Codice penale, ossia l’articolo che sanziona il reato di violenza sessuale, anziché all’interno dell’art. 660 che sanziona le molestie. In realtà la decisione è assolutamente in linea con quanto previsto dal nostro Codice penale, così come interpretato dalla giurisprudenza, la quale, in maniera costante, tende a fare ruotare la differenza tra violenza e molestia sessuale intorno alla esistenza o meno di contatti fisici a sfondo sessuale tra autore e vittima. Il reato di cui stiamo discutendo è un reato molto grave, non solo per la pena prevista dal Codice penale – da 6 a 12 anni di reclusione – ma anche per il marchio che lascia addosso al condannato (e anche questo è un tema da non sottovalutare in questi casi).

 

Ebbene, proprio per la varietà delle condotte che possono rientrare all’interno della nozione di violenza sessuale, soprattutto se interpretata in maniera così ampia – nessuno potrà mai negare che un palpeggiamento sia indiscutibilmente meno grave di un rapporto sessuale completo – la legge ha attribuito al giudice gli strumenti necessari per adeguare la pena al caso concreto, anche eventualmente andando al di sotto dei 6 anni previsti come minimo. Il codice penale stabilisce, infatti, che in casi particolari definiti di “minore gravità”, la pena possa essere diminuita dal giudice in maniera assolutamente significativa, ossia “sino a due terzi”.

 

Un’ipotesi prevista proprio per condotte diverse dalle classiche violenze sessuali e, dunque, anche per palpeggiamenti e toccamenti, con riferimento ai quali sarebbe illogico prevedere una pena minima di 6 anni di reclusione (la quale risulterebbe evidentemente esorbitante). E non è un caso che in pressoché tutte le sentenze in cui si è condannato per violenza sessuale l’autore di palpeggiamenti il giudice abbia ritenuto di ricorrere proprio all’ipotesi attenuata della “minore gravità”. Comunque la si pensi, si deve però rinunciare alla tentazione di voler necessariamente vedere nella vicenda che ha riguardato la giornalista Greta Beccaglia qualcosa di innovativo o rivoluzionario. Si tratta – stando, almeno, a quel che dice la giurisprudenza – di un ordinario caso di violenza sessuale ritenuto (giustamente) “di minore gravità” nel quale il giudice, lungi dall’essere stato influenzato dal caso mediatico che ne è derivato, non ha fatto altro che ricorrere a norme già molte altre volte applicate (anche a casi in cui la violenza non era stata commessa in diretta tv).

Guido Stampanoni Bassi 
direttore della Rivista Giurisprudenza Penale

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