Matteo Renzi (foto LaPresse)

La sfida del Pd e un bilancio su Italia viva. Capodanno, provochiamo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nascite al minimo storico, che fate a Capodanno?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Il fallimento di Italia Viva non è nei sondaggi che ristagnano o nella comunicazione che gira a vuoto (nonostante la presenza televisiva), ma nel suo replicare quasi alla lettera il percorso seguito dalla scissione di Leu: ovvero il suo ritrovarsi a enorme distanza dalle ambizioni che ne avevano segnato la nascita. Così come Leu era nata per offrire un’alternativa al Partito democratico attraverso il recupero di una “identità di sinistra” che si reputava smarrita, così Italia Viva è nata per offrire un’alternativa al Pd nell’annuncio del recupero di una piena iniziativa riformista e liberale. Il risultato, ad oggi, è che non esiste alcuna credibile alternativa al Pd nel suo ruolo di antagonista della destra sovranista. Certo, le due scissioni hanno eroso qualche punto percentuale al valore potenziale del Pd. Ma oggi, grosso modo, siamo in una situazione molto simile a quella di alcuni anni fa: con un Pd che naviga intorno al 20 per cento, Leu che ha preso il posto di SeL, Italia Viva che ha preso il posto di Ncd. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Perché nel percorso speculare di Italia Viva e Leu c’è qualcosa in più del tradizionale apologo sull’inutilità delle scissioni, sul valore dell’unità, sulla distanza che in politica corre sempre tra la narrazione di se stessi e la risposta che viene dall’elettorato. Quel qualcosa di più, almeno per guardare a Italia Viva, è il rischio che nel fallimento di un progetto fragile ed estemporaneo vada dispersa una storia che è appartenuta a tutta la comunità del Pd. Una storia fatta di elementi che non erano stati inventati dal nulla da Matteo Renzi, ma che intorno a lui si erano coagulati come spesso accade nelle vicende politiche: all’incrocio tra iniziativa personale e contesto storico. Con la scissione di Italia Viva si è provato a sequestrare quegli elementi di una storia più ampia per farne i mattoni di un’iniziativa personale, ma nell’operazione (e nel suo declino) si sono inevitabilmente distorti valori e simboli di riferimento: laddove Renzi si era affermato dentro il Pd facendo valere fino in fondo il criterio della contendibilità del partito che veniva dall’apertura alle primarie, oggi abbiamo un partito personale che per sua stessa costituzione non è contendibile né compatibile con alcuna forma di primarie; laddove la stagione 2014-2016 aveva coinciso con l’obiettivo di fare del Pd il “partito della nazione”, casa di tutti i riformisti e strumento finalmente adeguato alla vocazione maggioritaria, abbiamo oggi un “partito della fazione” che rivendica la propria vocazione minoritaria nella capacità di porre veti e condizionamenti marginali: tra l’altro alimentando grande ambiguità circa il proprio ruolo nella maggioranza di governo, con un’alternanza di prese di distanza e penultimatum più tipica di una forza di opposizione; laddove si puntava a costruire una nuova, ampia e articolata agenda della sinistra riformista, allargandone finalmente confini e temi, oggi Italia Viva supera del tutto la sinistra vestendo i panni del “partito monotematico” intorno ad una declinazione ideologica della battaglia anti-tasse; laddove si era scommesso su una narrazione positiva e ottimistica del paese (persino con qualche eccesso), oggi Renzi sembra aver scelto il vittimismo come strumento di lotta politica: e davvero non si vede perché gli italiani dovrebbero coltivare quella minima dose di senso di colpa che dà speranza di successo alla retorica del vittimismo, essendo poi gli stessi italiani che vantano la poco onorevole abitudine di calpestare senza pietà i leader che hanno avuto la sventura di inciampare.

Si potrebbe andare avanti a lungo elencando i punti lungo i quali corre la distanza tra Partito democratico e Italia Viva. Ma quello che preme sottolineare è il fallimento del tentativo di estrarre quei valori dal corpo del Pd per impiantarli su un corpo più personalizzato e dunque più controllabile. Così come non si può fare a meno di notare come la vicenda di Italia Viva ci racconti che un leader è tale solo e soltanto se presidia con continuità il campo, il popolo, le idee e i temi che lo hanno reso tale, senza illudersi che quelle idee e quei temi siano una proprietà personale trasferibile a piacimento. In estrema sintesi, la falsa partenza di Italia Viva (così come la parabola di Leu, ancor prima) conferma che a sinistra non esiste alcuno spazio politico rilevante al di fuori dal Pd. Con tutti i suoi limiti e le sue insufficienze, il Pd rimane l’unico terreno di gioco sia per i valori riformisti e liberali sia per l’aspirazione a recuperare le idealità della sinistra tradizionale. Idealità e valori che al di fuori del Pd perdono rapidamente consistenza e credibilità, lasciando sostanzialmente laceri e sguarniti quei partiti che avrebbero dovuto rivoluzionare il quadro politico italiano.

Il che ci porta all’unica conclusione realistica del duplice fallimento di Italia Viva e di Leu: l’opportunità che entrambe le scissioni vengano riassorbite dal Pd. E dunque la necessità che leader, parlamentari e dirigenti di quei piccoli partiti rientrino nel Pd proprio con l’obiettivo di far vivere le battaglie e le idealità in nome delle quali avevano provato a costruire un’alternativa che non è mai diventata reale. A volerla immaginare con lungimiranza, e senza spirito di partigianeria, non si tratterebbe di un’ammissione di sconfitta ma di una prova di convinzione nei valori per i quali ci si è battuti. Valori e idealità per cui non è solo è opportuno impegnarsi dentro il Pd, per farne strumenti di cambiamento reale e non solo bandierine personali, ma di cui c’è assoluto bisogno dentro il Pd soprattutto oggi: quando l’alleanza di governo con i Cinque stelle richiede la massima capacità di articolare un’agenda riformista efficace e visibile e alla vigilia di un congresso che dovrà decidere leadership e programma del Pd del prossimo decennio.

Andrea Romano

 

Grazie della lettera, ricca di spunti e di stimoli. Penso lei abbia ragione quando dice che il progetto di sinistra corbyniana è morto e sepolto (le consiglio un formidabile articolo pubblicato sull’Independent da Andrew Adonis, così intitolato: “Corbyn and Corbynism have to be completely eradicated if Labour is to become an electable democratic socialist party”). Non penso che abbia ragione a credere che il progetto del partito di Renzi sia morto in partenza (diamogli tempo) e penso anzi che quel partito possa oggi essere prezioso sia per il Pd sia per il governo. Per il Pd, perché può costringere il più importante progressista italiano a migliorare se stesso non facendosi dettare da Renzi l’agenda sui temi relativi al garantismo e all’oppressione fiscale (a proposito: davvero il Pd ricandiderà Emiliano in Puglia? Davvero). Per il governo, perché può costringere Pd e M5s a fare cose (come ridiscutere quota 100) che senza un pungolo esterno non sarebbero possibili. Al Pd di Nicola Zingaretti (che nonostante la scissione renziana regge bene almeno nei sondaggi) avere un soggetto trasversale con cui allearsi in caso di elezioni (meglio le alleanze dopo, e non prima, meglio il proporzionale) può far comodo a condizione che sia il Pd sia Italia Viva si ricordino che il nemico da combattere è nel campo della chiusura e non in quello dell’apertura. In una stagione proporzionale, diversificare l’offerta può essere utile. E se un domani la leadership del Pd dovesse tornare a essere contendibile il Pd, da Bergamo a Milano passando per Firenze e Bari, ha molti sindaci che potrebbero tornare utili al caso.

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