La manifestazione delle sardine in piazza Duomo a Milano (foto LaPresse)

Le sardine da un'altra angolazione: cosa possiamo fare noi per loro?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ma se volevano l’uomo forte non bastava un sì al referendum?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Quello di Giuliano Ferrara sulle sardine appare un ragionevole auspicio: “Restare un happening, non farsi imbrigliare dai costruttori di sbocchi”. Insomma: restare inafferrabili e non finire a partecipare a elezioni. Sacrosanta preoccupazione. Giuliano è mente troppo fine per non fiutare il rischio. Ma il “farsi soggetto”, purtroppo, è nella natura dei movimenti nell’epoca di internet, del flash mob, della mobilitazione alla velocità della luce. La facilità del flash mob inganna e alza, quasi automaticamente, la soglia dell’aspettativa. Indipendentemente dai pescatori di anime, i leader della piazza festosa sono, pavlovianamente, indotti a darsi struttura, significati e sbocchi. That’s the web, guy. Quindi prepariamoci. Anche le sardine saranno l’ennesimo episodio dello sfarinamento della politica, della caduta della separatezza funzionale tra partiti e magma dei movimenti, nell’epoca della rete, della tendenza di “ciò che si muove” a farsi competitor della politica. Spesso, vedi l’M5s degli inizi, vincendo la partita elettorale. A Giuliano Ferrara osserverei però un’eccessiva indulgenza sull’antiretorica e l’innocenza del linguaggio delle sardine. Colpisce il contrario: c’è in loro un messaggio fin troppo orientato e, volutamente, indirizzato verso un solo versante della geografia dei partiti. Ciò incrina l’innocenza del movimento. E poi: non deve sfuggire l’unico “significato”, scritto nero su bianco, con cui le sardine hanno inteso connotare le loro mobilitazioni: “Ostacolare il diritto di Salvini a essere ascoltato” (letterale). Che lo si faccia festosamente in piazza, non toglie che si tratti di espressione oscura, stentata in un italiano logico, ambigua. E che segnala, semmai, semplificazioni e cadute, non rassicuranti, della cultura civile e democratica media dei nostri ragazzi oggi. Che, al fondo, non riesce a distaccarsi sino in fondo dai linguaggi intolleranti che intende contrastare. Infine, per comprendere le sardine serve un testo oggi sugli scaffali: “La società signorile di massa”, di Luca Ricolfi. Vi si sfatano, con numeri e dati, luoghi comuni e mode, sulla condizione giovanile nel nostro paese, lo stato del sistema formativo, il rapporto col lavoro, le preoccupanti peculiarità, non precisamente progressive, della fascia di popolazione nativa tra 18 e i 30 anni. Che, azzarda Ricolfi, appare segnata dal disastroso fenomeno, quasi solo italiano, della fuga dalla formazione e dal lavoro, edonisticamente abbandonata a una lunga permanenza nella bambagia del consumo, volontariamente non occupata, nell’attesa perenne del lavoro che soddisfa, protetta dallo scudo del patrimonio familiare. Il famigerato reddito di cittadinanza è stata l’occasione persa per un dibattito di verità sui giovani, sulle povertà e le diseguaglianze effettive della società italiana attuale. Dove una situazione “signorile di massa” vede una maggioranza di mantenuti consumare, in una nazione che non cresce e in cui declina la produttività, la ricchezza e il patrimonio privato, costruito in oltre 50 anni di operosità, competività italiana, alta propensione al risparmio (e anche, purtroppo, tanto debito pubblico). I giovani nativi, nel racconto di Ricolfi, sono l’aspetto centrale della condizione “signorile”, della fenomenologia del consumo e della formazione mentale dominante. Insomma, un libro a tratti “scandaloso”, che smantella luoghi comuni e assunti retorici resistenti, sui giovani italiani di oggi.

Umberto Minopoli

Mi auguro non finisca così. Il punto però, caro Minopoli, è che le sardine sono un fenomeno eccezionale non perché esprimono un progetto politico, come vorrebbe qualcuno, ma perché esprimono un sentimento civico, mi passi la parola, al centro del quale vi è un messaggio potente che arriva a ciascuno di noi. In tanti, ha ragione a notarlo, sono lì a scervellarsi su come trasformare le sardine in un movimento attivo, quasi collaterale all’attività di qualche partito. In pochi però si rendono conto che la vera sfida delle sardine oggi è un’altra ed è più suggestiva. E’ metterci di fronte a una domanda importante: ma cosa può fare ciascuno di noi per manifestare la sua preoccupazione rispetto ad alcune evidenti patologie del nostro sistema politico? Le sardine hanno deciso di dare sfogo a questa preoccupazione repressa andando in piazza con molti ombrelli, con molti sorrisi e con molta allegria. E ciascuno di noi, più che occuparsi di cosa dovrebbero fare le sardine e più che preoccuparsi di quello che possono diventare, dovrebbe occuparsi di cosa fare, nel suo piccolo, per trasformare in energia vitale le proprie paure. Le sardine sono importanti perché ci mostrano cosa si può fare per mettere in mostra un’Italia che ha un pensiero diverso rispetto a quella che oggi sembra dominante. Più che occuparci di ciò che dovrebbero o potrebbero fare loro sarebbe meglio occuparci di quello che dovrebbe fare ciascuno di noi. Viva le sardine. E occhio al Foglio di lunedì.

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