Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il governo dell'ircocervo e la pericolosa politica dello scambio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Poi dice i rider, Conte fino a Pechino con le arance e niente mancia.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Quando il diritto si storce e accade spessissimo bisogna dirlo al di là del caso specifico. Contestare il reato di associazione per delinquere ai tifosi fascisti della Lazio è una forzatura strumentale per poter fare le intercettazioni. Il diritto non è uno strumento di trasformazione della società… in meglio… anzi peggiora il tutto.

Frank Cimini

 

Al direttore - Nel 1822 Gioachino Rossini rende visita a Beethoven nella sua casa di Vienna, famosa per essere un tugurio dal soffitto sfondato e col pitale sempre sul pianoforte. Dopo un vivace scambio di opinioni sulle tendenze musicali dell’epoca, il genio di Bonn lo congeda invitandolo a comporre in futuro solo opere buffe perché gli italiani non erano fatti per l’opera seria. Anche se sette anni più tardi il genio di Pesaro lo avrebbe clamorosamente smentito con un capolavoro del teatro romantico, “Guglielmo Tell”, l’aneddoto è significativo. Infatti, attesta la circolazione nel milieu culturale dell’impero asburgico ottocentesco di un’idea polemica del nostro carattere nazionale, considerato sordo alle profondità del dramma. Dopo la sconfitta di Hitler, nel “Doctor Faustus” (1947) Thomas Mann riprende la rappresentazione dell’anima prosaica e “spensierata” dei discendenti di Enea e la contrappone a quella del popolo tedesco, impavido nel percorrere fino in fondo il suo destino catastrofico. Cesare Garboli nei suoi “Ricordi tristi e civili” ha smontato in un paio di paginette magistrali la mitologia del teutonico descritta – in termini ora dionisiaci ora nibelungici – dal grande romanziere di Lubecca. Non c’è dubbio, tuttavia, che così ci hanno visto, e ancora ci vedono, gli innumerevoli viaggiatori scesi dal nord per godersi il mare e il sole che tanto ci invidiano: politicamente cinici ma deboli, sentimentali, festevoli; inclini a recitare, cantare, ridere. Insomma, come la patria di Machiavelli per chi ha studiato, o di Pulcinella e Arlecchino per gli illetterati. E’ però mai possibile che sia davvero questo il paese che ha subìto la tragedia del regime mussoliniano e che oggi è ai piedi di un signore per il quale l’antifascismo è diventato una polvere, la forfora che si spazza via dall’abito (o, meglio, dalla felpa) prima di una passeggiata? La domanda non è oziosa, soprattutto in tempi in cui l’atavico istinto gregario della maggioranza degli italiani è stato risvegliato da un capo (o, meglio, da un capitano) che si vanta di fottersene del passato. Pure la politica senza la storia, osservava Alessandro Manzoni, è come un cieco senza una guida che gli indichi la via. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se quella dell’ircocervo al governo è ormai prossima a schiantarsi contro un muro.

Michele Magno

 

Per capire la pericolosità del governo del cambiamento, e dell’ircocervo populista, più che concentrarsi sui retroscena vale la pena concentrarsi sulla famosa Omelia da Joseph Ratzinger del 26 novembre 1981, tenuta durante una liturgia per i deputati cattolici del Parlamento tedesco nella chiesa di San Winfried a Bonn. Ricordate cosa disse Ratzinger? “Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”. Tra i suoi tanti problemi il governo dell’ircocervo ha quello di aver sostituito la politica del compromesso, e della mediazione, con la politica dello scambio. E quando la politica sostituisce il compromesso con lo scambio, da magnifica arte del possibile diventa pericolosa arte dell’impossibile.

 

Al direttore - Anagramma del decreto crescita: creto decrescita.

Giuliano Cazzola

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