le lettere

Il nome sul simbolo elettorale non è uno scandalo se si ha il coraggio di essere leader

Chi ha scritto al ditrettore Claudio Cerasa

Al direttore - Peggio di mettere il proprio nome nel simbolo elettorale, c’è solo provare a mettere il nome nel simbolo elettorale e non riuscirci.
Sandro Brusco

  

Eppure non era una cattiva idea. Personalizzare la politica, trasferire la potenza di un leader sul partito che si guida non è, come si è detto, una deriva leaderistica ma è l’essenza della politica contemporanea, e non solo di questa, all’interno della quale un leader ha un peso se riesce a portare un valore aggiunto. E se può portare un valore aggiunto, avere il suo nome sotto il simbolo è uno scandalo solo se non si ha il coraggio di essere un leader fino in fondo. Elly, che peccato!


 

Al direttore - C’è una giornalista, oggi capolista del Pd nella circoscrizione meridionale e, quindi, con un seggio sicuro al Parlamento europeo, che una volta definì quello ucraino un “popolo di badanti e cameriere” (con un suo collega che si affrettò ad aggiungere “e di amanti”). Sia sempre benedetta la libertà di pensiero, ma, come direbbe Totò, qui si esagera!
Michele Magno



Al direttore - (O)Scurati.
Giuliano Cazzola


  
Al direttore - Cammino per i giardini della Biennale e leggo il comunicato del padiglione israeliano: siamo chiusi fino al rilascio degli ostaggi e alla fine delle ostilità. Bene, ovviamente tre militari a sorvegliare (unico caso come sempre), come tutte le sinagoghe nel mondo, molte scuole ebraiche etc., questa è la norma a cui siamo abituati senza porci domande. Meno male che il padiglione Germania ha ospitato una artista israeliana, la bravissima Yael Bartana, e il padiglione Polonia ha dedicato ai profughi ucraini un’opera d’arte, altrimenti mi sarei sentito tra gli sconfitti della storia.
Enrico Cerchione

  

Lo abbiamo scritto e lo riscriviamo: i padiglioni europei della Biennale dovrebbero aprirsi agli artisti dello stato ebraico, dimostrando solidarietà di valori, di intenti e di emozioni.


 

Al direttore - La scuola italiana andrebbe migliorata e basterebbero pochissime cose importanti da fare, innanzitutto la riduzione dei compiti a casa, che risultano essere molti di più rispetto agli altri paesi europei senza avere studenti più preparati. La Finlandia – dove si fanno quasi tutti i compiti a scuola – è seconda in Europa come indice Ocse delle conoscenze (indice Pisa) mentre l’Italia è 34esima. Inoltre in Italia la scuola superiore (liceo o altro) dura cinque anni mentre in molti paesi dura di meno (es. Francia e Spagna, dove il percorso scolastico termina a 18 anni), leggo di sperimentazioni a quattro anni in Italia, quanto ci mettono a finire la sperimentazione e permettere ai nostri giovani di entrare all’università o nel mondo del lavoro come i coetanei di altri paesi? Spero che il ministro Valditara si occupi dei compiti che sono troppi (leggendo  dati Ocse a supporto) e pensi a ridurre la durata della scuola superiore. 
Gian Lorenzo Cosi


   
Al direttore - Dal discorso di Mario Draghi alla High-Level Conference on the European Pillar of Social Rights di Bruxelles (16 aprile) al rapporto di Enrico Letta sul mercato unico europeo (18 aprile) e a quello di Emmanuel Macron preannunciato per giovedì prossimo alla Sorbona: siamo forse ai primi decisi passi – finalmente – per un’Europa non più economicistica, ma ente unitario di potenza, ovverosia soggetto storico globale. Riusciranno le forze politiche italiane a parlare di questa prospettiva nella campagna elettorale per le europee?
Alberto Bianchi

 

Sarebbe perfetto. E giusto. Intanto però una delusione, su altro. Nel Consiglio dei ministri di oggi non si parlerà di giustizia, di carriere separate, di Csm riformato, come era stato deciso venerdì scorso, e come il Foglio aveva anticipato, ma si parlerà di intelligenza artificiale. Speriamo che, come dice il ministro Nordio, sia solo un rinvio di qualche giorno. Tic tac.