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Il futuro del governo dipende più dai disastri di Salvini e Di Maio che da Siri

Claudio Cerasa

Un sondaggio del Censis ci racconta qualcosa di interessante non tanto sul consenso dei partiti di governo quanto sulla percezione dei loro risultati

Tra i molti sondaggi interessanti che i follower di Matteo Salvini non vedranno comparire facilmente sulla timeline mediatica della propaganda trucista ce n’è uno significativo che ci può aiutare a capire la ragione per cui, al netto del caso Siri, l’avventura del populismo di governo è destinata a non avere una vita lunga. La ragione non è legata alla distanza sempre più marcata tra il vicepremier leghista e il suo parigrado grillino ma alla qualità dei risultati ottenuti dai campioni del cambiamento populista nel corso del loro primo anno alla guida del paese.

 

Ieri mattina, il Censis ha presentato un sondaggio – clamoroso – condotto insieme a Conad, dedicato al “Sogno di un paese che vuole tornare a crescere”, e ha messo in fila tre dati che ci raccontano qualcosa di interessante non tanto sul consenso dei partiti di governo quanto sulla percezione dei loro risultati. Il primo sondaggio è dedicato alla percentuale di italiani convinta che negli ultimi mesi la situazione economica del paese sia peggiorata. La percentuale è impressionante: per il 55,4 per cento l’economia è peggiorata, per il 36,9 è rimasta uguale, per il 7,7 è migliorata. Il secondo sondaggio è dedicato all’ordine pubblico e su questo terreno i miglioramenti sarebbero stati percepiti dal 10,1 per cento degli italiani, mentre i peggioramenti dal 42,3 per cento. Il terzo sondaggio più che il passato riguarda il futuro e anche qui, ancora una volta, i numeri sono sorprendenti, difficilmente troveranno posto in apertura dei notiziari e ci dicono che la percentuale di italiani convinta che dal punto di vista economico per l’Italia il peggio debba ancora arrivare è del 48,4 per cento, mentre chi è convinto che migliorerà rappresenta una quota del 16,9 (e il 40,2 per cento pensa che a peggiorare sarà anche la sicurezza).

 

Il Censis offre anche altri dati gustosi e in controtendenza come quello dedicato al tema dell’Italexit (il 66,2 è contrario all’uscita dall’euro, il 65,8 per cento è contrario all’uscita dall’Unione europea) ma questa piccola carrellata di numeri ci offre la possibilità di sviluppare alcuni ragionamenti intorno ai quali si intrecciano almeno tre temi interessanti: il futuro del governo, i danni causati dal populismo, il vuoto dell’opposizione.

 

Al di là delle tensioni e degli schiaffi sul caso Siri (Salvini aveva minacciato sfracelli nel caso in cui il sottosegretario leghista fosse stato cacciato dal governo e gli sfracelli non ci sono stati), il leader della Lega è il primo a sapere che la truffa del populismo di governo non può che avere i mesi contati. E più passerà il tempo, più Salvini tarderà dopo le europee a capitalizzare il consenso che tutti i sondaggi gli attribuiscono (secondo Nando Pagnoncelli la Lega è al 37 per cento) e più sarà difficile per il leader della Lega continuare a ingannare gli italiani spacciandosi per la vittima e non per il responsabile del peggioramento delle condizioni del nostro paese.

 

I danni causati dal populismo, secondo punto, sono quelli che riguardano l’economia, certo, ma sono anche quelli legati a un altro fenomeno di cui Salvini è stato carnefice e di cui potrebbe restare vittima: la prevalenza nel dibattito pubblico dell’agenda della percezione su quella della realtà. In passato è stato il Truce a giocare con la paura negando la realtà dei numeri offerti dalle istituzioni sui crimini commessi nel paese (anche se la paura aumenta da anni, i crimini sono in calo da anni) ma il fatto che subito dopo gli episodi di violenza armata registrati a Napoli il ministro dell’Interno sia stato costretto a combattere una possibile percezione negativa del suo operato con i numeri della realtà (tra il 2018 e il 2019, ha detto Salvini la scorsa settimana, gli omicidi – seguendo il trend degli ultimi anni – sono diminuiti del 12,2 per cento, i tentati omicidi sono calati del 16,2, le rapine sono calate del 20,9) è un indizio di un problema con il quale prima o poi lo stesso leader della Lega dovrà fare i conti: difendersi dalla distorsione creata dal partito dell’allarmismo di cui Salvini è stato a lungo tessera numero uno.

 

L’ultimo elemento di riflessione riguarda infine lo stato di salute di un’opposizione che di fronte ai numeri del Censis dovrebbe essere, in prospettiva, più preoccupata di Salvini. E il punto su cui concentrarsi in fondo è semplice: come è possibile che gli elettori continuino a premiare con tanta convinzione partiti che danno ogni giorno prova di far male al paese e di essere in contrasto con le priorità degli italiani? La risposta è tutta nell’altra grande anomalia del paese, un grande vuoto costituito da un’alternativa onesta che continua però drammaticamente a far notizia per quello che fa e mai per quello che dice.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.