L'Italia che ha creato il M5s è quella che insulta Grillo sui vaccini

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sì Tar!

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Un grazie a Burioni per aver costretto Beppe Grillo a scegliere una volta per tutte da che parte stare sui vaccini. C’ha messo trent’anni, ma alla fine lo ha detto: i vaccini fanno bene. Viva Burioni.

Marco Martini

 

Viva. E chissà quando gli elettori del Movimento 5 stelle capiranno che l’Italia che ha creato e alimentato il M5s è quella che oggi insulta Grillo per aver detto finalmente il contrario di quello che Grillo ha sempre sostenuto: viva i vaccini.

 

Al direttore - Pane e Nutella, bucatini al sugo, selfie, divise, post e comparsate sui social con dito minaccioso e naso prorompente. La vita di Matteo Salvini è un “Truman show” autogestito.

Giuliano Cazzola

 

Al direttore - Ho letto ultimamente un servizio sul Corriere della Sera fatto da Milena Gabanelli e Fabio Savelli dal titolo “Quanto ci costa non fare le opere”; tra l’altro nell’articolo si precisa che i ripensamenti sui cantieri già finanziati con fondi della Unione europea hanno messo in crisi le grandi imprese di costruzione e dei 150 miliardi trovati in cassa, sin dal 2014, i governi che si sono succeduti hanno speso il 4 per cento. In particolare i due redattori ribadiscono che “alle difficoltà di realizzare progetti approvati si aggiungono i 21 miliardi bloccati sulle grandi opere in corso e il fatto che negli ultimi tre anni oltre 10 miliardi di investimenti in infrastrutture, messi nero su bianco, non sono partiti. Tutto questo trascina inquantificabili costi occulti e il risultato è che le grosse imprese del settore stanno andando fuori mercato, 418 mila potenziali posti di lavoro sono saltati, mentre 120 mila aziende sono fallite”. Sempre nell’articolo si ribadisce “ci sono oltre 60 miliardi destinati al Fondo investimenti e sviluppo infrastrutturale (27 miliardi del Fondo coesione e sviluppo, 15 dei Fondi strutturali europei, 9,3 alle Ferrovie dello stato, 8 per il rilancio degli enti territoriali, 6,6 nel Contratto di programma dell’Anas). Ma il governo ha preferito fermare tutto e attingere da lì i fondi per la riforma delle pensioni, il reddito di cittadinanza, la flat tax per le partite Iva”. Leggendo integralmente l’articolo ci si meraviglia di due cose: la conversione davvero storica di Milena Gabanelli sul tema delle grandi opere e l’assenza di una ricerca delle motivazioni che hanno portato a un blocco davvero grave del processo infrastrutturale nel nostro paese. Per uno come me che per anni ha seguito i servizi di “Report” proprio sulle grandi opere, leggere nell’articolo questi passaggi: “Si fa presto a dire: fermiamo tutto e rifacciamo i conti, ma anche i ripensamenti hanno un costo; il tira e molla sulle opere in corso ha dato il colpo di grazia a un intero settore. A giugno 2018 si insedia il nuovo governo e il ministro delle Infrastrutture Toninelli decide di stoppare i finanziamenti a tutte le grandi opere già in corso o programmate: dal tunnel del Brennero (5,9 miliardi), alla pedemontana veneta (2,3 miliardi), dall’alta velocità Brescia-Padova (7,7 miliardi) al Terzo Valico (6,6 miliardi) oltre alla Torino-Lione” è come scoprire una Gabanelli completamente diversa da quella che forse per decenni ha denunciato la inutilità delle grandi opere, lo spreco di investimenti come quelli dell’alta velocità ferroviaria; assaporare l’ammissione di anni di interpretazioni errate sulla necessità di realizzare proprio le grandi opere è una soddisfazione che, proprio in un momento storico come questo, diventa ancora più significativa in quanto il fattore tempo è riuscito a dimostrare come il vuoto realizzativo degli ultimi quattro anni rispetto a un passato di dieci anni precedenti pieni di investimenti infrastrutturali abbia portato alla crisi di un comparto chiave della crescita dell’intero paese. Il fatto che questa constatazione venga prodotta da Milena Gabanelli ne rafforza il significato e ne legittima la credibilità. Invece la seconda cosa che non viene affrontata è quella legata alle motivazioni che hanno portato al blocco del processo infrastrutturale. Anche in questo caso la motivazione più semplice è quella legata alla esigenza del governo Renzi di destinare i circa 10 miliardi all’anno per assicurare gli 80 euro per i salari minimi ma per attuare una simile scelta era necessario annullare l’operatività della struttura tecnica di missione preposta proprio alla istruttoria dei progetti inseriti nel Programma delle infrastrutture strategiche previste dalla legge Obiettivo; lo si è fatto istituendo una “nuova” Struttura tecnica di missione che in quattro anni ha preferito attivare la cosiddetta “project review” attraverso la quale è stato possibile annullare l’utilizzo delle risorse finanziarie destinate proprio alla realizzazione delle infrastrutture strategiche. Per quattro anni siamo andati avanti solo con dichiarazioni programmatiche, con elencazioni di risorse disponibili, con certezze che sono diventate inesistenti nel momento in cui qualcuno ha cercato di fare i bilanci di quattro anni di vuoto.

Ercole Incalza

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