Claudia Durastanti, “La straniera” (la Nave di Teseo)

Il caos infinito che sono un padre e una madre

Annalena Benini

La straniera di Claudia Durastanti. Romanzo intimo, letterario e brutale dell’amoroso disordine in cui si viene al mondo

Mia madre non sopporta la finzione; quando guardiamo qualcosa sullo schermo arriva sempre il momento in cui mi chiede: “Ma è una storia vera?”, anche se stiamo guardando un film dell’orrore, e io devo mentirle perché, se le dico che è tutto inventato, lei perde interesse e non riusciamo più a fare una cosa insieme. Il suo: “Ma è una storia vera?” mi tormenta da sempre.

Claudia Durastanti, “La straniera” (la Nave di Teseo)


  

La straniera, il titolo di questo romanzo intimo, teso, e famigliare in un modo brutale e letterario insieme, è la bambina che nasce in America e che a pochi anni si trasferisce in Basilicata, e dice “stiro da ferro”, invece di ferro da stiro, e per molti anni fa avanti e indietro fra i continenti e fra le storie degli altri. Ma la straniera è anche il motore del libro, la madre che dà la vita alla protagonista: una ragazza degli anni Settanta, sorda e sfacciata, con un sorriso largo e i capelli neri dritti, che dorme per strada per sentirsi libera e che quando si trasferisce negli Stati Uniti non viene subito riconosciuta come sorda, ma piuttosto “straniera”, una con uno strano accento, e ne è felice. Non per vergogna, ma sempre per libertà, per confusione.

  

“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato. Scrivere te stessa significa ricordare che sei nata con rabbia e sei stata una colata lavica densa e continua, prima che la tua crosta si indurisse e si spaccasse per lasciar affiorare una specie di amore, o che la forza inutile del perdono venisse a levigarti e ad appiattire ogni tuo avvallamento. Rileggere te stessa significa inventare quello che hai passato, individuare ogni strato di cui sei composta”. Claudia Durastanti esamina l’esistenza, cerca di starne un passo indietro, di mediare tra la vita e la letteratura, di trovare la forma esatta in cui plasmare una storia così viva. Come la protagonista di questo romanzo media con il linguaggio e con le parole precise tra il mondo là fuori e i suoi genitori incoscienti e sordi. Lei li guarda, li racconta, li analizza, sono sua madre e suo padre, e sempre trova che siano un mistero irrisolvibile, perfino invidiabile.

 

“Non so che sostanza ci sia nei miei genitori: so che io non ce l’ho. Ogni vantaggio l’ho conquistato e perso con il linguaggio, scambiando una parola con un’altra, persuadendo l’interlocutore con la retorica dei miei sentimenti, e il mio silenzio non è mai ferale. Non ho il loro influsso demonico”. L’influsso demonico che li ha fatti incontrare quando lei gli ha salvato la vita a Ponte Sisto, e poi amare in un modo anche infernale, distruggersi la vita, mangiare il pesce a Chinatown, restare tutto il giorno a guardare il soffitto, non lavorare mai, devastare, accumulare cianfrusaglie, sentirsi artisti, credere in una “vita memorabile”, conservare un’intimità un po’ folle per sempre.

 

Un padre che tiene ostaggio la sua famiglia sul balcone con un coltello, e un compagno di scuola che racconta quella visione come l’avvenimento più sconvolgente della vita, mentre lei, la figlia, non se ne ricordava nemmeno più. “Non c’è un singolo atto di violenza nella mia vita che io riesca a ricordare senza ridere”. Non c’è un momento tragico che non sia anche, in qualche angolo, comico, e viceversa. Un padre che piomba in casa la notte. “Una notte durante il mio primo anno di Università era rientrato dopo la mezzanotte e ci aveva svegliati tutti. Aveva appena ottenuto una grossa vincita al Bingo. Ero sdraiata sulla branda in cui dormivo all’epoca, poi mio padre si era avvicinato esaltato dal vino per lanciarmi dei soldi addosso e io mi ero tirata su di scatto cercando di afferrare tutto quello che potevo”. Da questa colata lavica densa e continua emerge e si impone la vita di una bambina, e poi di una giovane donna senza “influsso demonico”. Decisa a differenziarsi, e forse anche a salvarsi, e però prima di tutto a rendere grazie a questo infinito caos che sono un padre e una madre.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.