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Anche sulle rinnovabili l'Italia resta ferma

Rivista Energia

Nel 2019 la quota di generazione da impianti rinnovabili è cresciuta in Germania, nel Regno Unito e in Spagna. Il confronto con il nostro paese e le prospettive per l’immediato futuro. L'analisi di Giovanni Goldoni

di Giovanni Goldoni, professore presso l’Università di Verona e membro del comitato scientifico della rivista Energia

dal sito rivistaenergia.it


 

Quali progressi hanno fatto le fonti rinnovabili elettriche nel 2019 e quali prospettive per l’immediato futuro? La quota di generazione da impianti rinnovabili cresce in Germania, nel Regno Unito e in Spagna. Solo in Italia rimane ferma da qualche anno. In prospettiva, il fotovoltaico viaggia più veloce dell’eolico, soprattutto onshore. E poi c’è lo strano caso dell’exploit dell’asta per il fotovoltaico in Portogallo…

 

Le buone intenzioni dichiarate dalla nuova Commissione Europea con l’annuncio dello European Green Deal e dal Governo italiano con il varo del PNIEC vanno calate nella fredda realtà dei mercati e dei loro numeri. È quello che ho provato fare mettendo insieme una serie di dati e di informazioni sui progressi fatti dalle fonti rinnovabili elettriche nell’anno che si è appena concluso e sulle loro prospettive nell’immediato futuro.

 

Nel 2019, i prezzi baseload del mercato all’ingrosso italiano sono stati più alti del 10% di quelli spagnoli, quasi del 20% di quelli del Regno Unito e circa del 30% rispetto a quelli della Germania

Per prima cosa un dato di contorno indispensabile sull’andamento dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea, nel terzo trimestre dello scorso anno l’European Power Benchmark, che rileva i prezzi dei sette mercati principali, era sceso del 12% rispetto a un anno prima. In generale i prezzi bassi sono una buona notizia per i consumatori finali ma non per chi deve investire in impianti di generazione. In questo scenario i prezzi baseload del mercato all’ingrosso italiano mantenevano un differenziale inalterato rispetto ai sistemi elettrici comparabili per dimensioni e mix di centrali. A oltre 50 Euro per MWh i nostri prezzi erano più alti del 10% dei prezzi spagnoli, quasi del 20% rispetto ai prezzi del Regno Unito e circa del 30% rispetto a quelli della Germania. 

 

Proprio il sistema elettrico tedesco è stato caratterizzato nel 2019 da una rilevante flessione dei consumi. Stando ai primi dati il decremento sarebbe stato superiore al 3%. Grazie a questo, e grazie alle favorevoli condizioni meteorologiche più che al contributo di nuove installazioni, la generazione degli impianti rinnovabili sarebbe arrivata a coprire quasi il 43% del fabbisogno.

 

Il 2019 parrebbe essere stato un anno record anche nel Regno Unito, dove le fonti rinnovabili hanno soddisfatto il 37% della richiesta elettrica. Occorre qui ricordare che la quota delle rinnovabili oltre Manica era solo al 7% nel 2010.

 

Secondo i dati diffusi dal gestore della rete di trasmissione nazionale, pure in Spagna i consumi sono calati (-1,7%) favorendo l’ascesa al 37% della quota della generazione rinnovabile. Quest’ultima è molto probabilmente destinata a superare il 40% il prossimo anno, visto il boom di installazioni registrato nella seconda metà del 2019.

 

Solo in Italia la situazione rimane ferma da qualche anno, con i consumi stazionari sui 320 TWh e la quota delle rinnovabili che si mantiene intorno al 35%.

 

La quota di generazione da impianti rinnovabili cresce in Germania, nel Regno Unito e in Spagna; solo in Italia rimane ferma da qualche anno

Quali appaiono le prospettive della transizione elettrica nell’immediato futuro?

In Germania guardano con preoccupazione all’imminente scadenza degli incentivi dei primi parchi eolici installati onshore. Un loro rinnovamento e ripotenziamento sarebbe indispensabile prima ancora che auspicabile per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050, ma pare trovare gravi impedimenti in vincoli paesaggistici e naturalistici sempre più stringenti.

 

L’esistenza di questi vincoli è probabilmente la prima ragione del fatto che tutte le aste congiunte effettuate nel 2019 hanno finito per premiare impianti fotovoltaici. Il consuntivo provvisorio del 2019 segna 6 GW rinnovabili entrati in funzione, di cui 4 GW fotovoltaici, 1,3 GW di eolico offshore e solo 0,7 GW di eolico onshore.

 

Nel Regno Unito, dove negli anni Novanta si era aperta la corsa al gas naturale del Mare del Nord e ai cicli combinati, si sta aprendo l’era dell’eolico offshore. Non solo dovrebbero essere entrati in funzione già dallo scorso anno circa 1,8 GW eolici offshore – insieme a 0,6 GW eolici onshore e 0,2 GW fotovoltaici – ma il nuovo governo conservatore avrebbe manifestato l’intenzione di portare da 8 GW addirittura a 40 GW l’obiettivo al 2030, probabilmente confortato dai risultati dell’ultima asta che si è tenuta a settembre scorso e che ha fissato per la tecnologia offshore prezzi inferiori a 40 sterline per MWh e ormai allineati ai valori correnti del mercato all’ingrosso.

  

Come in Germania, anche in Spagna traspare dall’andamento delle installazioni una situazione di relativo vantaggio del fotovoltaico. Se nel 2018 vi erano stati solo 330 MW di nuove connessioni a impianti rinnovabili, nel 2019 esse sono esplose a circa 6,5 GW, di cui circa 4 GW fotovoltaici e 2,3 GW eolici onshore. Il boom riflette certamente la deadline per la realizzazione degli 8 GW che erano stati assegnati nelle aste del 2017, equamente ripartiti tra le due tecnologie. Dai dati pubblicati da Red Electrica si può desumere che alla fine del 2019 mancavano all’appello circa 2 GW, quasi esclusivamente eolici, mentre è stato realizzato pressoché integralmente il quantitativo assegnato alla tecnologia fotovoltaica.

La Germania deve rinnovare il parco eolico, ma è alle prese con problemi di permitting; nel Regno Unito si sta aprendo l’era dell’eolico offshore; in Spagna il fotovoltaico corre più dell’eolico

 

In Italia il panorama delle nuove installazioni è certamente più limitato e statico. Mancano dati consuntivi ma mettendo insieme i numeri del primo semestre forniti dall’Osservatorio Fer dell’ANIE (554 MW di nuova potenza) e la dichiarazione del GSE secondo cui a fine giugno vi erano “oltre 500 MW in posizione utile nei registri e nelle aste, non ancora in esercizio”, difficilmente alla fine dell’anno si sarà arrivati a superare di molto un GW di nuovi potenza rinnovabile.

 

Se gli osservatori tedeschi e inglesi giudicano indispensabile un cambio di passo per realizzare nei tempi previsti gli obiettivi nazionali di decarbonizzazione, cosa dire di fronte ai miseri numeri del caso Italiano? 

 

I risultati della prima asta prevista dal DM del 4 luglio 2019 che sono appena usciti non appaiono esaltanti, sia per la partecipazione ottenuta, di poco superiore alla capacità bandita, sia per la tipologia di impianto, l’eolico onshore, verso cui ci si sta orientando, puntando in direzione ostinata e contraria alle tendenze che stanno emergendo negli altri mercati europei, dove stanno prevalendo le tecnologie offshore e fotovoltaiche per ragioni che sono probabilmente ascrivibili sia a minori vincoli paesaggistici da superare sia a una supply chain più efficiente.

In Italia nel 2019 difficilmente le rinnovabili avranno superato di molto 1 GW di nuova potenza (vs 6 GW in Germania, 2,6 GW nel Regno Unito, 6,5 in Spagna)

 

Basti dire che l’unico impianto fotovoltaico che compare nella graduatoria dell’asta congiunta svoltasi da noi nello scorso settembre, e dove sono stati aggiudicati 500 MW, ha una potenza di soli 5 MW offerti a un prezzo di 60 euro per MWh.

 

Nel frattempo si leggono in rete vari commenti a un’asta effettuata lo scorso luglio in Portogallo che ha assegnato 1,15 GW fotovoltaici a un prezzo medio compreso tra 20 e 21 €/MWh. Qui sono esposti i dati essenziali di quell’asta.

 

Il commento di Aurora Energy Research si conclude lasciando una domanda aperta sull’esito piuttosto stupefacente dell’asta: è da attribuire alla forte concorrenza causata dalla circostanza che, come del resto in Italia, questa era la prima asta bandita dopo un lungo periodo di fermo, oppure siamo di fronte a una effettiva riduzione dei costi per le installazioni fotovoltaiche nei paesi del Mediterraneo?  

 

Se gli osservatori tedeschi e inglesi giudicano indispensabile un cambio di passo per realizzare nei tempi previsti gli obiettivi nazionali di decarbonizzazione, cosa dire di fronte ai più miseri numeri del caso italiano? 

 

Negli scenari di previsione del PNIEC il ritmo di crescita delle Fer è piuttosto contenuto nella prima parte del decennio a venire. Per ora prevale l’esigenza, che i due regolatori, Mise e ARERA, sembrano condividere, di mantenere sotto controllo il costo indicativo degli incentivi alle FER. Per questo il DM 4 luglio 2019 prevede la sospensione di tutte le procedure se dovesse essere raggiunta quella soglia di 5,8 miliardi di euro introdotta nel 2016, quando però era evidente che l’obiettivo Fer al 2020 poteva dirsi raggiunto. Questa strategia può dare buoni frutti in termini di ulteriore calo dei costi di impianto, anche e soprattutto per il fotovoltaico.

 

Ma per arrivare ai 70 GW previsti dal PNIEC nel 2030, il ritmo delle nuove installazioni fotovoltaiche dovrebbe compiere un vero e proprio balzo nella seconda metà del decennio, passando da meno di 1 GW/anno a oltre 5 GW/anno. Per compierlo dovranno essersi per allora realizzate tre condizioni:

1. un sistema elettrico pronto ad accogliere questa potenza, grazie a uno sviluppo di reti e accumuli coerente alla localizzazione degli impianti;
2. un mercato elettrico riformato in modo da rendere possibili ipotesi solide sulla valorizzazione del kWh fotovoltaico per le varie taglie di impianto;
3. una supply chain efficiente.


 
Giovanni Goldoni è professore presso l’Università di Verona e membro del comitato scientifico della rivista Energia

 

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