Ugo Forello (foto LaPresse)

Sbirri & grillini

Giuseppe Sottile

Nella palude di Palermo finisce non solo la faida dei 5 stelle ma anche l’antimafia dei soldi facili

Per carità, siamo ancora alle delazioni, alle accuse senza prove, alle dicerie tipiche di chi è abituato a frequentare, più che i salotti della politica, i sottoscala della questura. Ma leggendo le cronache che in questi giorni a Palermo macerano e lacerano il Movimento cinque stelle, è difficile fare finta che non sia successo nulla. Perché dal grumo di veleni che una fazione di grillini utilizza per mascariare la fazione opposta arriva indirettamente un’altra picconata all’immagine e alla credibilità dell’antimafia militante. Arriva il sospetto – solo il sospetto, per carità – che dopo l’antimafia degli affari, quella che ha inquinato la politica degli ultimi governi regionali, sia nata e cresciuta nei sotterranei della Sicilia anche l’antimafia delle mangiatoie: un insospettabile club di moralizzatori che, con la banalissima scusa di fare la lotta alle cosche, incassa rimborsi e contributi milionari non solo dai tribunali ma anche e soprattutto dal ministero dell’Interno. L’associazione sotto accusa – un’accusa ovviamente tutta da dimostrare – si chiama Addiopizzo, fondata nei primi anni Duemila con lo specifico compito di combattere quel racket delle estorsioni che per la mafia rappresenta non solo un esercizio di violenza sul territorio ma anche la prima fonte di finanziamento.

 

Nel vasto mondo dell’antimafia, Addiopizzo si è guadagnato in questi anni uno spazio non indifferente. Partendo dalla convinzione che, per sconfiggere le soverchierie dei boss, sia necessario innanzitutto spezzare la coltre di omertà e di paura che troppo spesso avvolge il mondo delle vittime, i ragazzi di Addiopizzo fanno iscrivere all’associazione commercianti e imprenditori, convincendoli a denunciare ogni richiesta malsana avanzata dai “picciotti” del racket. 

 

Poi li assistono e li difendono in tribunale. E quando i processi si concludono incassano pure, come ogni parte civile, il rimborso delle spese legali e il risarcimento dei danni. Un’operazione meritoria, indubbiamente. Che lo Stato ha incoraggiato e incoraggia tuttora con finanziamenti di un certo peso: si parla di circa un milione e mezzo di euro solo per Addiopizzo; ma non c’è associazione antimafia, piccola o grande, che non abbia trovato al ministero dell’Interno una mano generosa in grado di garantire, in cambio di un impegno civile, cospicue fette di denaro pubblico.

 

Bene, come è stato gestito tutto quel mare di soldi? E’ alla luce di questa domanda che si alza il sipario sulla faida grillina. Tra i fondatori di Addiopizzo c’è un avvocato, Ugo Forello, che oggi è candidato sindaco di Palermo per il Movimento cinque stelle. Un candidato con buone possibilità di riuscita (il suo rivale è l’uscente Leoluca Orlando) ma puntualmente mal sopportato dal nucleo storico dei grillini palermitani: per intenderci, quelli che, guidati da Riccardo Nuti, deputato a Montecitorio, si sono trovati nei guai per le firme false sulle candidature alle passate elezioni comunali.

 

L’inchiesta sulle firme che dovevano essere genuine e furono invece copiate a casaccio è esplosa nell’ottobre scorso ed è nata, a quanto pare, da sussurri e delazioni che il giro di Nuti attribuisce agli amici di Forello. E poiché la vendetta, come si sa, è un piatto freddo, ecco apparire pochi giorni fa su YouTube un audio, camuffato da video, nel quale sono incise le parole di un incontro avvenuto nel luglio scorso alla Camera dei deputati. Da un lato c’è Andrea Cottone, un supporter che fa parte dello staff della comunicazione in Parlamento e che fino al 2008, anno in cui si è verificata la rottura con Ugo Forello, ha svolto lo stesso incarico a Palermo, negli uffici di Addiopizzo. Dall’altro lato ci sono Nuti e altre tre deputate: Chiara Di Benedetto, Giulia Di Vita e Loredana Lupo. Parlano amichevolmente, confidenzialmente. Ma nel gruppetto c’è chi registra le parole di Cottone e le conserva gelosamente.

 

Parole dure, non c’è che dire. In mezz’ora di registrazione – gonfia di sospetti, allusioni e insinuazioni – l’associazione antiracket viene fatta letteralmente a pezzi. Si parla di intrighi, di conflitti di interesse, di un vero e proprio business gestito, in maniera a dir poco opaca, da Forello e dalla sua cerchia di amici: “Cose che nessuno denuncia perché Addiopizzo non si può toccare”, sottolinea Giulia Di Vita ora che la misteriosa registrazione è stata tirata fuori e consegnata, magari per pareggiare i conti, agli stessi magistrati che indagano sulle firme false.

 

Un fango che avanza, che sporca e travolge. Non solo il candidato Forello, colpito nel cuore della sua campagna elettorale e che naturalmente minaccia tutte le querele del mondo. Non solo Addiopizzo, finita nel ventilatore dello sputtanamento e che ora non sa più come gridare ai quattro venti l’oltraggio inferto alla sacralità della sua antimafia. Non solo l’allegra compagnia di Nuti e degli altri deputati precipitati nel tritacarne dell’inchiesta per lo scandalo delle firme e sospesi dal Movimento. La palude palermitana rischia di trascinare al fondo accusati e accusatori, moralizzati e moralizzatori, professionisti dell’antiracket e professionisti dell’antipolitica.

 

Beppe Grillo e Casaleggio tendono, com’è ovvio, a minimizzare. Difendono il candidato Forello e difendono pure Cottone. Una nota ufficiale del M5s sostiene che “non si evince alcun illecito” e che “è in atto solo un violento tentativo di discredito”. Ma l’aria si è fatta pesante, irrespirabile. Gli uni parlano degli altri impugnando lo stesso epiteto: “Infami”. E nessuno, in questo maledetto palcoscenico, trova pace. Nel grande teatro dei tradimenti, Palermo somiglia sempre di più alla Roma di Virginia Raggi e di Raffaele Marra. I dossier e le registrazioni sono diventate le armi ordinarie di una guerra senza fine. Altro che “vaffa”, altro che mondo nuovo. La cultura del sospetto, che comunque non è mai l’anticamera della verità, ha trasformato il Movimento in un immenso covo di congiurati, di sbirri e di censori. Si salvi chi può.

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  • Giuseppe Sottile
  • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.