Michele Emiliano (foto LaPresse)

Bluff e imposture. I fanfaroni antimafia tirano la volata a Emiliano

Giuseppe Sottile

Le dolci convergenze parallele del pm in Sicilia con i Crocetta e i Lumia

Indovinate: quali truppe ha reclutato in Sicilia lo straripante Michele Emiliano, governatore della Puglia e candidato tra i più glamour per la segreteria del Partito democratico? Chi ha scelto come suoi luogotenenti nella terra dei boss e dei picciotti, degli eroi e dei morti ammazzati, delle fiction sulla mafia e delle imposture sull’antimafia? Se avete pensato a un gruppo di signori in doppiopetto, pronti ad assumere la guida della corrente emiliana del Pd e a battersi come leoni per affermare “i diritti degli ultimi e dei dimenticati”, siete cortesemente pregati di cambiare registro. Perché Michele Emiliano, venuto in Sicilia per chiedere nessun altro impegno se non quello del coraggio e della legalità, è riuscito ad accaparrarsi la migliore compagnia di teatro oggi operante sul palcoscenico della politica. È la rinomata e affermatissima “Compagnia dei Magliari”, il cui capocomico risponde nientepopodimeno che al nome di Rosario Crocetta.

 

Una compagnia di giro. Potete ammirarla quasi tutte le domeniche negli studi televisivi dell’Arena dove, con la complicità di Massimo Giletti, un portatore sano del grillismo dentro il servizio pubblico della Rai, la compagnia mette in scena il Grande Imbroglio. Anzi, una grande mistificazione. La parte del protagonista, ovviamente, spetta a Crocetta. Il governatore della Sicilia, ha sperimentato un metodo: quello di nascondere i disastri riconducibili alla sua cattiva amministrazione sotto una coltre opaca e limacciosa di vittimismo. E per fare questo ha bisogno che la sua partecipazione all’Arena avvenga con la garanzia che nessuno possa contraddirlo. Giletti, ovviamente, non si tira indietro e consente a Crocetta di denunciare impunemente tutte le vergogne della Sicilia come se quelle stesse vergogne fossero frutto di chissà quali torbide manovre, di chissà quali poteri occulti, di chissà quali trame oscure, di chissà quali indicibili complotti; insomma, quasi fossero opera di una super cupola mafiosa impegnata giorno dopo giorno nella demolizione del candido ed efficientissimo governo del presidente Crocetta.

 

Il giochino ha funzionato, eccome. Ma il merito del successo non va assegnato solo all’ex sindaco di Gela divenuto quattro anni fa, per una bizzarria del destino, governatore della più estesa e tormentata regione del sud. Dietro il successo della compagnia c’è soprattutto una mente politica: quella del senatore Giuseppe Lumia, il più professionista dei professionisti dell’antimafia. Presente in Parlamento da sei legislature, il “senatore della porta accanto” – così lo ha definito Pietrangelo Buttafuoco sul Fatto quotidiano, ricordando la sua costante presenza a Palazzo d’Orleans, in una stanza vicina a quella di Crocetta – ha ufficializzato proprio in questi giorni la sua adesione alla campagna di Michele Emiliano. Né con Matteo Renzi né con Andrea Orlando: Lumia ha scelto, e non poteva essere diversamente, la filiera giustizialista guidata, in questa campagna precongressuale, dal governatore della Puglia, Il quale, come si ricorderà, non solo non ha mai abbandonato la toga di magistrato ma vuole anche tenersela stretta per il futuro: fra non molto, infatti, affronterà un difficilissimo braccio di ferro con il Consiglio superiore della magistratura che, almeno a parole, insiste invece perché il candidato alla segreteria del Pd non mantenga ulteriormente il piede in due staffe.

 

Intanto però la campagna elettorale va avanti ed Emiliano non perde occasione per irrobustire le file dei suoi sostenitori. Lumia non gli porta in dote molti voti: le scempiaggini del governo presieduto da Crocetta stanno di fatto consegnando la Sicilia al partito di Beppe Grillo. In compenso la compagnia – della quale il senatore è senza dubbio il regista, il produttore e anche lo sceneggiatore – dispone di uomini che sul fronte del giustizialismo o, se preferite, sull’uso dell’antimafia a fini politici, non hanno niente da invidiare a nessuno.

 

Il primo in graduatoria è Antonio Ingroia. Lo ricordate? È stato per anni il padrone incontrastato della procura di Palermo e la sua stella brillò al centro del firmamento giudiziario nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni nazionali del 2013, quando cominciò a battere in lungo e in largo giornali e talk-show per dare fiato all’inchiesta che avrebbe dovuto rivoluzionare la storia dell’Italia: quella sulla fantomatica trattativa tra i boss di Cosa nostra e alcuni potenti uomini dello Stato. Dietro a quell’inchiesta, il potente magistrato coltivava anche l’ambizione di scendere in campo e di competere per la poltrona di Palazzo Chigi. Ma il verdetto delle urne fu un disastro e Ingroia, costretto a lasciare la toga, trovò rifugio in un posticino di sottogoverno messogli generosamente a disposizione dal fraternissimo amico Rosario Crocetta. Da allora l’ex pm non si è più allontanato dal governatore della Sicilia. Anzi, è entrato a far parte del cerchio magico e in virtù di questo privilegio ha cominciato ad allargarsi sempre di più. Al punto che i suoi ex colleghi della procura gli hanno notificato un avviso di garanzia per peculato: secondo i rappresentanti dell’accusa, avrebbe incassato soldi oltre il dovuto alla voce indennizzi e rimborsi spese. Quisquilie, tagliano corto Crocetta e Lumia. I quali non solo gli hanno riconfermato l’incarico per altri tre anni, ma continuano a tenerlo in vetrina come un’insostituibile icona dell’antimafia.

 

L’altro valente attore scritturato dalla compagnia è Antonio Fiumefreddo, un avvocato catanese messo da Crocetta a capo di “Riscossione Sicilia”, la partecipata regionale che teoricamente – molto teoricamente – dovrebbe riscuotere le tasse dei siciliani. Ma la società fa acqua da tutte le parti e Fiumefreddo, per raddrizzare le gambe al cane, chiede un finanziamento di almeno cento milioni. L’Assemblea regionale non li stanzia e il capo di “Riscossione” dichiara pubblicamente che il risanamento della società viene ostacolato da un particolare gruppo di consiglieri che, guarda caso, ha tanta voglia di favorire gli evasori fiscali.

 

Apriti cielo. L’Ars insorge: sei un ricattatore. Lui si difende: i ricattatori siete voi. E la polemica, tramite Lumia che – dentro il palazzo di San Macuto è un senatore molto potente – finisce alla Commissione parlamentare antimafia, quella presieduta da Rosy Bindi. Dalla quale Fiumefreddo esce – e non poteva che finire così – con l’aureola dell’eroe solitario in guerra con quegli orrendi amici degli evasori ben mimetizzati tra i marmi e i damaschi di Palazzo dei Normanni.

 

La trasformazione dei fanfaroni dell’antimafia in eroi meritevoli di ogni riguardo è il compito che si è assunto Lumia. Questo spiega il motivo per cui, ogni due o tre mesi, la Bindi convoca Crocetta. Una convocazione amichevole, ovviamente. Perché anche lì, come da Giletti, Crocetta riesce a raccontare impunemente le storie più strambe e i numeri più improbabili – ho fatto arrestare novecento mafiosi, ho fatto licenziare seicento picciotti di Cosa nostra – al solo scopo di criminalizzare i problemi che né lui né gli uomini della sua amministrazione sanno risolvere.

 

Così, tra un bluff e un’impostura, la Sicilia affonda allegramente. Strangolata, con diletto teatrale, da una compagnia di giro meglio conosciuta come la “Compagnia dei Magliari”. Che da ora in poi potrà scrivere sulla locandina: “Stasera non si recita a soggetto: dove c’è Emiliano c’è pure Lumia”.

  • Giuseppe Sottile
  • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.