Un Foglio internazionale

“La Germania è a corto di benzina. Anche l'Europa è in pericolo”

Ieri la Germania era un'oasi di stabilità. Oggi sembra una nave in balìa del mare. L'analisi di Nicolas Baverez su il Figaro 

Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì.


 

"Da campione e motore dell’Europa, la Germania è diventata uno dei suoi più grandi malati”, scrive Nicolas Baverez. “È bloccata in un inverno demografico con un tasso di natalità di 1,46 figli per donna. L’economia, che è diventata la terza più grande del mondo grazie al declino del Giappone, è entrata in recessione nel 2023 (- 0,3 per cento). Dal 2019 la crescita si è limitata allo 0,7 per cento, rispetto al 4 dell’Eurozona, al 7,5 degli Stati Uniti e al 20 della Cina. L’inflazione resiste al 5,9 per cento. La transizione ecologica sta vacillando, con emissioni pari a 673 milioni di tonnellate rispetto ai 297 milioni della Francia, a causa del massiccio utilizzo del carbone, che rappresenta il 26 per cento della produzione di energia elettrica. Il declino della Germania è strutturale.

È il risultato dell’implosione del modello mercantilistico fondato sulla manodopera a basso costo proveniente dall’Europa dell’est, sulla dipendenza dal gas russo e sulle esportazioni verso i mercati emergenti – Cina in primis. L’industria tedesca sta affrontando una grave perdita di competitività a causa della carenza di manodopera e degli aumenti salariali, dell’aumento dei prezzi dell'energia e dei tassi d’interesse, ma soprattutto della concorrenza degli Stati Uniti, con la loro energia a basso costo e l’Ira (450 miliardi di dollari di aiuti), e della Cina, con il dumping delle sue esportazioni. La produzione automobilistica e le esportazioni tedesche sono destinate a diminuire rispettivamente del 13,8 per cento e dell’11 rispetto al 2019, mentre un quarto della grande industria e del Mittelstand (le piccole e medie imprese tedesche, ndr) sta valutando la possibilità di delocalizzare. La posizione internazionale della Germania è altrettanto indebolita. La sua diplomazia è stata colta di sorpresa dalla guerra in Ucraina, che ha aperto un grande scontro tra imperi autoritari e democrazie. La sua leadership dell’Unione è stata screditata dal compromesso con la Russia di Vladimir Putin e dalla continua benevolenza nei confronti della Cina di Xi Jinping, dal cronico sottofinanziamento della difesa (dall’1 all’1,5 per cento del Pil), che lascia il paese disarmato di fronte alla minaccia esistenziale – anche nucleare – che Mosca rappresenta per il continente, e dalla débâcle della transizione energetica ed ecologica imposta all’Unione, che è alla base della rivolta degli agricoltori in tutta Europa. Dinanzi a queste sfide, il sistema politico tedesco è paralizzato dalla debolezza di Olaf Scholz e dalle divisioni nella sua coalizione.

Non emerge alcuna decisione nei settori chiave dell’immigrazione, dell’energia, dell’industria, dell’agricoltura, della transizione ecologica, del riarmo e del sostegno militare all’Ucraina. Lo conferma il blocco delle politiche pubbliche, con la santurarizzazione del freno al debito che limita il deficit annuale allo 0,35 per cento del Pil nonostante la condanna dei fondi speciali da parte della sentenza del tribunale di Karlsruhe dello scorso novembre, il mantenimento dell’obiettivo insostenibile dell’80 per cento di elettricità da fonte solare o eolica entro il 2030, le incertezze sul riarmo oltre il 2027, che vedrà l’estinzione del fondo di 100 miliardi di euro, e il rifiuto di consegnare missili Taurus all’Ucraina. Olaf Scholz ha parlato di un cambiamento di epoca (Zeitenwende), senza essere in grado di proporre un nuovo modello e di incarnarlo. La sua impopolarità, unita all’impotenza del suo governo, sta alimentando l’avanzata dell’estrema destra. L’Afd, con il 22 per cento delle intenzioni di voto e addirittura il 38 in alcuni Länder orientali, è diventata la seconda forza in un panorama politico molto frammentato.

Alcuni in Europa, in particolare in Francia, sbagliano a rallegrarsi delle battute d’arresto e del disordine della Germania. La sua destabilizzazione sta minando sia la moneta unica che le istituzioni dell’Unione, mentre la manifestazione delle divergenze con la Francia – portata all’estremo dal secco rifiuto di Olaf Scholz, sostenuto dagli alleati, dell’improbabile proposta di Emmanuel Macron di dispiegare truppe di terra in Ucraina, e dalla sua opposizione ai tentativi della Francia di indebitarsi a livello europeo – sottolinea la disunità degli stati membri, a tutto vantaggio di Vladimir Putin. La Germania sta attraversando una crisi esistenziale. Tuttavia, ha ancora alcuni punti di forza notevoli, tra cui il vigore e la diversità del suo tessuto industriale, la vitalità e la creatività del Mittelstand, la persistenza della piena occupazione (46 milioni di occupati), il miglioramento dei risultati del suo sistema educativo, un debito pubblico ridotto al 64 per cento del Pil, che le dà margine di manovra per finanziare le infrastrutture, la transizione energetica e il riarmo (il bilancio della difesa quest’anno è pari al 2 per cento del pil, rispetto all’1,9 della Francia).

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