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Un foglio internazionale

Un'Italia senza bambini

"Le scuole chiudono e nei parchi giochi non c’è più nessuno". Così la civiltà si erode impercettibilmente, poi svanisce. Il viaggio di Paul Wood nel Belpaese

"Il villaggio in cui ci siamo trasferiti nell’Italia centrale è adorabile – vecchie case in pietra e ulivi su una collina – ma è stranamente deserto per la maggior parte del tempo”, scrive Paul Wood sullo Spectator. “Un vicino sulla quarantina dice che quando è cresciuto qui, era pieno di bambini che giocavano nelle strade acciottolate. Allora gli abitanti erano  350, mi dice, ora si sono ridotti a 42, compresi gli ultimi residenti, io e mia moglie. Il villaggio sta morendo in piedi, sta diventando un pezzo da museo perfettamente conservato. Il mio vicino scuote la testa e dice quanto è triste. Di borghi così in Italia ce ne sono tanti. Prima viene sbarrata una casa, poi un’altra; chiude la trattoria, poi il panificio e altri negozi, e poi la gente se ne va di colpo perché il posto non è più quello di prima. Alcuni sindaci offrono case ai nuovi arrivati a un euro. Questo non fa quasi alcuna differenza perché qualcosa sta accadendo in tutto il paese: gli italiani non hanno più bambini come prima.

Al culmine del baby boom del dopoguerra in Italia, nel 1964, ci furono un milione di nascite. Nel 2008 sono nati 600.000 bambini; l’anno scorso 400.000. Si tratta di un calo di quasi un terzo solo negli ultimi 15 anni. Il dato più importante di tutti è questo: oggi in Italia si contano in media 1,24 parti per ogni donna. Si tratta di una cifra ben al di sotto di ciò che manterrebbe la popolazione così com’è: due bambini che raggiungono l’età adulta per ogni donna. Il paese si sta ingrigendo. Puoi vederlo. Gli italiani hanno inventato una parola, “umarelli”, per descrivere i vecchi che stanno curvi fuori dai cantieri edili, con le mani dietro la schiena, offrendo consigli indesiderati agli operai. Per ogni italiano che entra nel mondo del lavoro, due vanno in pensione. Le scuole stanno chiudendo. I parchi giochi sono vuoti. Il sistema pensionistico rischia la bancarotta. L’effetto più profondo del basso tasso di natalità è che il paese si sta restringendo. La popolazione odierna, 59 milioni, potrebbe diventare 54 milioni entro il 2050, 47 milioni entro il 2070. Un titolo di giornale qui diceva: “Tra meno di 200 anni potrebbe nascere  l’ultimo italiano”.

Il primo ministro italiano, Georgia Meloni, afferma che non c’è priorità più alta per il suo governo che porre fine all’“inverno demografico” della nazione. Ha perfino creato un ministro per la natalità. Ha invitato Elon Musk a Roma a dicembre per parlare di questo: è uno dei suoi temi preferiti. Ha detto: “L’Italia è il popolo italiano... Fate più italiani per salvare la cultura italiana”. Questo paese, un tempo noto per le sue famiglie numerose e l’amore per i bambini, offre uno scorcio di futuro per il resto d’Europa. La Francia ha un tasso di natalità di 1,8, Germania e Regno Unito 1,6, Spagna 1,2 – tutti molto al di sotto del tasso di sostituzione di 2,1. E non è solo l’Europa. Gli Stati Uniti hanno un tasso di natalità di 1,7. Anche in Sudamerica non nascono abbastanza bambini per mantenere la popolazione: il dato del Messico è 1,8, quello del Cile 1,5. In Asia, Giappone e Tailandia sono all’1.3. Il paese con il tasso di natalità più basso al mondo è la Corea del Sud, pari a 0,78. Ciò significa che il numero di bambini nati in Corea del Sud si dimezzerà ogni 25 anni. Questo calcolo è stato fatto da un demografo britannico, Stephen Shaw. Ha realizzato un documentario stimolante sul collasso della popolazione, che potete vedere su www.birthgap.org. Prima di iniziare ad analizzare le cifre, Shaw pensava che il problema fosse la crescita della popolazione. Questo è stato il messaggio implacabile fin dagli anni 60, con i terribili avvertimenti di una “bomba demografica”, un incubo malthusiano di crescita esponenziale del numero umano che potrebbe sopraffare il pianeta e portare alla fame di massa. L’India ha preso la situazione così seriamente che 8 milioni di persone sono state sterilizzate con la forza; la Cina aveva la sua politica del figlio unico. Non sorprende che rimanga la saggezza convenzionale secondo cui la sovrappopolazione è il pericolo più grande che affrontiamo – c’è chi sceglie di non avere figli “per il pianeta” – perché il numero di esseri umani è ancora in crescita: 8 miliardi adesso e 10 miliardi entro la metà del secolo. In gran parte si tratta degli alti tassi di natalità in medio oriente – le donne hanno in media tre bambini – e soprattutto in Africa: ci sono sei bambini per ogni donna in Ciad o Mali, cinque in Nigeria. Ma Shaw sostiene che i tassi di natalità nei paesi in via di sviluppo stanno iniziando a diminuire e potrebbero raggiungere lo stesso livello di qualsiasi altro paese nel giro di una o due generazioni. 

In molte nazioni ricche – paradossalmente, dati i loro bassi tassi di natalità – la popolazione sta crescendo lentamente, o rimane stabile, e contribuirà a raggiungere i 10 miliardi. Shaw dice che ciò accade perché le persone nate durante i precedenti baby boom stanno ancora invecchiando. In primo luogo, la crescita della popolazione rallenta e la proporzione tra anziani e giovani aumenta: un “mondo invertito”. Poi la popolazione inizia a diminuire e, proprio come la crescita, il declino si aggrava in modo esponenziale: un mondo vuoto.  

Italia, Spagna, Giappone e Corea del Sud si trovano già sul lato “sbagliato” di questa curva. Ma, gli chiedo, non potremmo immaginare un mondo migliore con meno persone? L’intelligenza artificiale e i robot potrebbero svolgere i lavori lasciati vacanti dai lavoratori scomparsi. Le case costerebbero meno. Shaw dice che i robot non pagano le tasse. Ci sarebbe un enorme sconvolgimento economico. Come minimo, sarà “un viaggio molto accidentato” con molti anziani soli e nessuno che si prenda cura di loro. 

Peggio ancora, Shaw ritiene che per le società sia quasi impossibile riprendersi da tassi di natalità molto bassi, entrando in una sorta di spirale mortale. “Non sappiamo come fermare questa discesa, e sta accelerando.” 

Cosa sta causando questo? Un cambiamento nella cultura: sempre più coppie scelgono di rimanere senza figli? O l’economia? In alcune parti d’Italia, ad esempio, la metà dei giovani adulti non riesce a trovare lavoro. I giovani italiani spesso vivono a casa con i genitori, tra i 20 e i 30 anni, piuttosto che sposarsi e fondare una famiglia propria. La ricerca di Shaw ha scoperto un chiaro legame tra le recessioni economiche nei paesi industrializzati e il calo dei tassi di natalità, anche se non si tratta semplicemente di persone che si sentono troppo povere per creare una famiglia. I tassi di natalità sono diminuiti dopo lo shock petrolifero del 1973 e la crisi bancaria del 2008, ma quando l’economia si è ripresa, le persone non hanno iniziato ad avere più bambini. Ogni recessione ha causato un reset nella cultura, “il fare è cambiato”. Shaw ha raccolto le statistiche per spiegare il perché. Rivelano un quadro sorprendente del modo in cui viviamo oggi. Shaw afferma che, nonostante i bassi tassi di natalità, le famiglie non stanno diventando più piccole. Se una coppia mette su famiglia, probabilmente sarà grande come nei decenni passati: “La maternità è stata incredibilmente resistente”.

 Tuttavia, si è registrato un drammatico aumento del numero di coppie senza figli. Ciò non avviene, come si potrebbe pensare, perché le persone scelgono la carriera, il denaro e la libertà rispetto ai figli: solo una piccola minoranza vuole restare senza figli. Otto o nove persone su dieci affermano di volere dei figli, ma aspettano più tempo per averli. Questa scelta sembra logica in tempi di incertezza economica e poi diventa la norma. Ma Shaw sostiene che il fatto cruciale e trascurato è che solo la metà delle donne che raggiungono i trent’anni senza aver creato una famiglia diventeranno madri. Molte aspettano che la loro carriera si sviluppi o stanno ancora cercando la persona giusta. Non si rendono conto di quanto diminuisce drasticamente la fertilità e di quanto poco tempo hanno. Le statistiche nascondono un oceano di dolore. 

Su Facebook in italiano si possono trovare gruppi a sostegno delle donne che non hanno figli, per scelta o per caso. In un forum, una donna racconta una storia tipica, postandola in modo anonimo perché tutto questo è profondamente personale e doloroso, e perché le donne si sentono giudicate per il fatto di non avere figli. Dice di essere stata attenta a non rimanere incinta a vent’anni perché questo avrebbe significato “la fine di tutti i suoi progetti”: università, viaggi, carriera. A 30 anni ha iniziato a provare ad avere un bambino e all’inizio si è sentita sollevata quando non è successo nulla – la vita era così impegnativa – ma poi ha iniziato a provare un crescente “sgomento e perdita”. Ora che si avvicina ai 40 anni, le resta la “piccola, debole speranza” data dal trattamento per la fertilità. Si tratta di un “percorso omicida” disseminato di dosi, test, ormoni, aumento di peso, effetti collaterali e, ormai, tre fallimenti. “Tre coltelli al cuore”.

 Shaw afferma che le giovani donne devono essere informate che aspettare di mettere su famiglia rischia di non avere figli “non intenzionali, non pianificati”. “Insegniamo alle giovani donne come non rimanere incinte. In realtà non insegniamo nulla di significativo sulla finestra della fertilità”. Giulio Meotti, editorialista del quotidiano italiano Il Foglio, va oltre. Dice che tutto il paese dovrebbe parlare del tasso di natalità. Troppo tempo è stato perso nell’affrontare questo argomento tabù a causa della sua associazione con il fascismo: Mussolini disse agli italiani di fare più figli “per la Patria”. Il primo ministro Meloni e il suo governo potrebbero sollevare la questione adesso, ma lui mi dice che è “retorica a buon mercato” quando – a suo avviso – vengono spesi così pochi soldi per sostenere la famiglia. Parte del problema, secondo lui, è che l’Italia non è più un paese cattolico romano e la religione è importante per l’identità di un popolo. L’Italia soffre di un “malessere culturale” e perfino di un declino “spirituale”. “I bambini non sono solo una questione privata. Sono una questione nazionale. Dobbiamo dire alle donne che il loro utero non è solo affare loro. E’ in gioco il futuro collettivo”. Meotti ci tiene a sottolineare che non vuole riportare le donne in cucina. Vorrebbe che le imprese e lo stato facessero di più per aiutare le donne a lavorare e a essere madri. Vorrebbe misure economiche, certo, ma anche un cambiamento di atteggiamenti, una nuova “visione culturale” per l’Italia. E’ contrario all’immigrazione – “il dogma nazionale dei nostri media e delle élite” – perché anche quella minaccerebbe l’identità culturale dell’Italia: i numeri necessari sarebbero enormi. Sottolinea che da più di 30 anni in Italia si registrano più morti che nascite. Ora è uno dei paesi più vecchi del mondo, insieme al Giappone e alla Corea del Sud. “Sono molto pessimista… Siamo in guai seri… aspettiamo l’inevitabile. E’ un suicidio lento”. 

Tutto questo si basa su proiezioni. E’ possibile che la prevista curva discendente esponenziale della popolazione possa appiattirsi, che le persone possano semplicemente iniziare ad avere più bambini. Ma per gli italiani – e per tutti gli altri – c’è un monito che viene dalla storia.  Una teoria del perché l’Impero romano cadde è che ci fu un basso tasso di natalità. Il crollo non avvenne da un giorno all’altro, ma nel corso di generazioni, secoli.
Se è vero che “la demografia è il destino”, allora anche la nostra civiltà potrebbe scomparire, non da un giorno all’altro, ma erodendosi lentamente, quasi impercettibilmente da un anno all’altro, fino a svanire semplicemente”.

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