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Quale sarà il futuro di Harvard dopo le dimissioni della sua presidente

La reputazione della prestigiosa università americana è stata notevolmente offuscata dalle polemiche che hanno coinvolto Claudine Gay. Un articolo del Figaro

Le dimissioni di Claudine Gay dalla presidenza di Harvard sono state laboriose, in netto contrasto con il suo reclutamento, portato avanti con grande vigore appena sei mesi prima da un consiglio di amministrazione particolarmente diligente nel seguire la linea ideologica imposta dal dipartimento “diversità, equità e inclusione” (Dei) dell’università” scrive la filosofa francese Julie Girard, che ha pubblicato “Le Crépuscule des licornes” (Gallimard, 2023). Il suo ultimo romanzo, “Les Larmes de Narcisse” (Gallimard), sarà pubblicato il prossimo 8 febbraio. “Di fronte a dei candidati che si erano mostrati tutti in linea con le aspettative di questi sacerdoti dell’equità, Claudine Gay sembrava la scelta più sensata. Ma oggi appare evidente che non fosse qualificata per dirigere una delle università più prestigiose degli Stati Uniti. Dinanzi a questo clamoroso fallimento, emerge con forza la questione del reclutamento di un nuovo presidente. Ne va del futuro dell’università, la cui reputazione è stata profondamente offuscata.

Quest’autunno Harvard ha registrato un calo del 17 per cento delle sue candidature anticipate. Tutti gli occhi sono quindi puntati sulla Harvard Corporation, il consiglio di amministrazione dell’università. Per il momento, la sua presidente, Penny S. Pritzker, non ha preso in considerazione l’ipotesi di dimettersi. Eppure è stata la Harvard Corporation non solo a reclutare Claudine Gay, ma anche a sostenerla dopo la sua testimonianza davanti al Congresso e le accuse di plagio, che l’hanno ufficialmente portata alle dimissioni. Ma questa defezione è stata possibile senza l’intervento di grandi donatori che tengono molto al rigore accademico e senza il sostegno di rappresentanti politici conservatori? Nulla è meno certo. Sebbene la speranza di un cambiamento di paradigma all’Università di Harvard sia entusiasmante per i sostenitori della ragione, la situazione deve essere affrontata con cautela. Quali garanzie offrirà il consiglio di amministrazione per evitare un secondo naufragio? Quando ha assunto Claudine Gay, la Harvard Corporation si è impegnata a selezionare solo candidati approvati dal Dei, un dipartimento per il quale aveva lavorato attivamente fin dalla sua creazione. Alla luce di queste condizioni, come possiamo essere sicuri della competenza del prossimo presidente dell’università? Il gestore del fondo d’investimento Pershing Square Capital Management, Bill Ackman, importante mecenate di Harvard, dove si è laureato, ritiene che la gestione di un’università di questa levatura – la dotazione di Harvard sfiora i 50 miliardi di dollari – debba essere affidata a un leader dotato di solide capacità manageriali piuttosto che a un membro della facoltà. A questo proposito, Ackman consiglia all’università di cancellare il Dei e di adottare una nuova costituzione, a immagine di quella proposta dai professori di Penn e firmata da più di 1.200 accademici. Questa iniziativa propone un ritorno ai valori difesi da Benjamin Franklin, fondatore dell’Università della Pennsylvania. Alla militanza politica e sociale che affligge le istituzioni educative, questo progetto di costituzione universitaria oppone i valori dell’Illuminismo.

Condanna quindi qualsiasi nomina, promozione o riconferma del personale accademico e amministrativo sulla base di criteri quali il sesso, la razza, la nazionalità, l’opinione politica, l’orientamento sessuale o l’affiliazione religiosa, e applica gli stessi princìpi all’ammissione degli studenti. Contrariamente alle pratiche dogmatiche del Dei e al suo discorso che divide la comunità universitaria in oppressori e oppressi, questa costituzione sostiene l’apertura mentale, la diversità intellettuale, il rispetto, la tolleranza e la neutralità istituzionale e politica. Per quanto ovvi, questi valori sono purtroppo impunemente calpestati dai militanti del risentimento. Che cos’è oggi il Dei se non una polizza di assicurazione morale il cui premio è diventato ingiustificatamente alto? Questa proposta di costituzione, che promette di liberare l’università dai teologi di ogni natura, fornisce finalmente un antidoto al veleno di una gestione basata in maniera dannosa sul risentimento. Ora che si trova a un bivio, Harvard farebbe bene a ispirarsi a questo progetto, che restituisce all’equità e alla diversità il rango che meritano. La posta in gioco è alta, ma l’impresa è difficile. Non è semplice scalzare i sostenitori dell’identitarismo dalle loro posizioni artificiali. Ma è proprio facendo tabula rasa che l’amministrazione di Boston potrebbe ripartire da zero. A coloro che gridano al “regolamento di conti”, ricordiamo che i woke sono dei carrieristi come tutti gli altri, e forse i più ambiziosi. Chi altri, se non questi benpensanti, oserebbe sacrificare l’uguaglianza, la verità e l’integrità in cambio di una posizione ambita? Diciamolo, i Dei sono un’eresia.