(foto EPA)

un foglio internazionale

“La solidarietà occidentale all'Ucraina è grande, ma manca una risposta culturale”

Una chiacchierata sul Monde con Nataliya Gumenyuk, curatrice dell’undicesima edizione del Festival del libro di Kyiv

Le Monde – Perché era importante che il Festival del libro di Kyov riprendesse?

Nataliya Gumenyuk – Bisogna essere chiari: il ritorno degli eventi pubblici in Ucraina non significa ritorno alla normalità. La situazione cambia costantemente e resta molto critica. Ma quando qualcuno vuole distruggervi, la miglior risposta è quella di restare in vita, e di mostrarglielo. Poiché i russi vogliono che non ci sia più una vita ucraina, dobbiamo fare tutto il possibile per smentirli, ritrovare una forma di normalità nonostante tutto. Ciò fa parte della nostra resistenza. Nel 2022, eravamo sotto lo choc dell’invasione. Ma il festival svolge un ruolo importante e bisogna continuare, anche solo per sostenere l’industria del libro, che ha pubblicato meno dall’anno scorso – costa di più ed è più difficile… E poi le persone, qui, hanno un grande bisogno di parlare tra di loro. Vogliono l’unità, lo scambio, degli spazi condivisi. Il festival è uno di questi luoghi, lo noto nelle mie chiacchierate con le persone che voglio invitare. Che sia la comunità ebraica di Dnipro, un poeta che in questo momento si batte in prima linea o il sindaco di un villaggio nella regione di Kherson, tutti manifestano un grande interesse, tutti tengono molto a venire a dialogare tra loro e con il pubblico. 

Dall’inizio dell’anno, Yulia Kozlovets, direttrice del Book Arsenal Festival, ha organizzato una serie di mini festival dell’Arsenal all’interno di alcuni saloni del libro in Lituania, in Germania e in Italia, sperando di contribuire a creare una rete europea attorno agli scrittori ucraini. A che punto siamo? Il mondo culturale dell’Europa dell’ovest le sembra sufficientemente mobilitato in vostra difesa?

Con tutta franchezza, non abbastanza. C’è una chiara solidarietà. Gli ucraini hanno delle piattaforme per esprimersi, come nei saloni in cui Yulia è andata, ci sono programmi di residenza, borse, cose di questo tipo, e siamo estremamente riconoscenti. Ma ai miei occhi, resta una risposta parziale a quello che sta accadendo. Non ho visto una mobilitazione realmente potente della cultura occidentale. Intendo dire: in occidente abbiamo visto apparire un progetto artistico importante consacrato a questa guerra? Posso soltanto citare le opere di Banksy a Kyiv e nella regione. Eppure l’arte e la letteratura possono diventare delle armi politiche molto forti. Ai Weiwei, per esempio, fa grandi cose a proposito della Cina, che hanno un impatto internazionale, che aprono gli occhi a molte persone. L’arte politica può essere efficace, produrre rapidi effetti, è una miccia, come quando #MeToo e Black Lives Matter vengono ripresi dagli artisti, dagli scrittori, dai cantanti… La solidarietà dell’ovest è grande, ma manca una risposta veramente culturale, che sarebbe capitale per permettere una comprensione della Russia, del fascismo russo, della guerra, del mondo moderno, di tutto ciò di cui abbiamo parlato. Solo la cultura permetterà veramente all’occidente di cogliere l’essenza di ciò che sta accadendo in Ucraina.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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