Manifestazione in solidarietà alla Palestina a Glasgow (Jeff J Mitchell/Getty Images) 

un foglio internazionale

Il multiculti ha trasformato ogni evento straniero un campo di battaglia

In Inghilterra, dalla politica alle piazze, ci si scontro su qualsiasi evento di rilievo, come l’ultima guerra a Gaza

"Ecco alcune istantanee dalla Gran Bretagna nell’ultima settimana. Decine di migliaia di manifestanti in marcia verso l’Ambasciata israeliana, alcune dei quali gridano ‘Israele semina terrore’. Un corteo di veicoli addobbati con le bandiere palestinesi entra in un quartiere popolato da ebrei a Londra, mentre un energumeno grida ‘fanculo agli ebrei, e stupriamo le loro figlie’. Due giocatori del Leicester City festeggiano la vittoria in Fa Cup sventolando una bandiera palestinese. Molti di questi manifestanti appartenevano alla vasta popolazione musulmana in Gran Bretagna”. Così inizia l’articolo dell’Economist sulla politica estera e il multiculturalismo. 

 

Il fatto che la Gran Bretagna sia diventata una società multietnica significa che gli eventi di politica estera hanno assunto più importanza rispetto a prima. L’invasione dell’Iraq sotto un governo laburista ha infuriato molti musulmani britannici. Il destino del Kashmir è un tema così caldo a Wycombe, un’area rurale del Buckinghamshire, che il deputato locale ha dato vita al gruppo Conservative Friends of Kashmir. “Oggi la politica estera viene definita non solo dalle pressioni democratiche ma dalle forze etniche. I partiti politici competono per i voti delle minoranze etniche, e la politica estera è diventata un terreno scontro”, scrive l’Economist. In Gran Bretagna il Partito conservatore sta sfidando l’egemonia laburista tra le minoranze, specialmente tra i non-musulmani del subcontinente indiano. Questo processo presenta alcuni pericoli. Uno di questi è la balcanizzazione della politica estera, che consiste nello sviluppo di programmi che si rivolgono a interessi particolari. Un altro problema è legato a ciò che Samuel Huntington chiamava “lo scontro delle civiltà”. Più il Labour si identifica con i laburisti, e i conservatori con gli induisti e i nazionalisti israeliani, più questi conflitti verranno riprodotti nelle circoscrizioni britanniche. 

 

 

Secondo l’Economist, i diplomatici devono adattarsi a una nuova èra: devono prestare maggiore attenzione ai legami culturali e al potere della religione, ma allo stesso tempo devono fare uso delle più antiche abilità diplomatiche, ovvero l’obiettività e lo scetticismo. “Ci sono molte ragioni per essere cautamente ottimisti. Le minoranze etniche saranno una risorsa importante per la “global Britain”, che si volta dall’Europa all’Asia – conclude l’Economist – Nessuno può forgiare dei legami commerciali meglio di chi parla la lingua locale e ha dei legami familiari con le comunità etniche? Norman Tebbit, un ministro conservatore negli anni Ottanta, coniò l’espressione ‘cricket test’, secondo cui la fede sportiva dei figli degli immigrati era segno del loro grado di integrazione. Ma il cricket mostra anche il contrario. Un gioco inventato da una nazione imperiale, e che viene disputato da induisti, musulmani e molti altri gruppi etnici e religiosi che mettono da parte le loro differenze e obbediscono a regole comuni”.