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Il filosofo Finkielkraut: “Non potevo più sopportare di condividere da lontano l'angoscia degli israeliani”

L'intellettuale francese Alain Finkielkraut di ritorno da Israele. “Quello che sta accadendo in tutti i paesi occidentali è orribile”. L'intervista sul Figaro

Il Figaro ha intervistato il filosofo Alain Finkielkraut, appena rientrato da un suo viaggio in Israele.

 

E’ stato il suo primo ritorno in Israele, dopo il 7 ottobre? Come si è sentito?

Alain Finkielkraut – Non potevo più sopportare di condividere da lontano la tristezza e l’angoscia degli israeliani. Così ho fatto questo viaggio per dimostrare la mia solidarietà e per saperne di più su quello che gli stessi israeliani descrivono come il periodo peggiore della loro storia.

 

Dobbiamo continuare a sostenere incondizionatamente la guerra di Tsahal a Gaza, nonostante le migliaia di vittime?

Nel taxi che mi riportava a casa dall’aeroporto, volevo ascoltare la radio per respirare nuovamente l’atmosfera francese. Non sono rimasto deluso. Uno specialista di relazioni internazionali, noto per la sua moderazione, ha paragonato i bombardamenti dell’esercito israeliano su Gaza a quelli di Coventry e Dresda durante la Seconda guerra mondiale. L’analogia è al tempo stesso disinibita e delirante. Per quanto ne so, né la Luftwaffe né la Royal Air Force hanno avvertito gli abitanti degli edifici presi di mira prima di entrare in azione. Né hanno predisposto corridoi umanitari o permesso il passaggio di camion di aiuti alimentari. Vorrei ricordare inoltre che gli aerei alleati hanno ucciso decine di migliaia di francesi durante lo sbarco in Normandia. La compassione è legittima e persino salutare, ma deve essere accompagnata dal discernimento. La storia ce lo insegna: l’emozione senza intelligenza non è meno devastante dell’intelligenza senza emozione.

 

In queste condizioni, la soluzione dei due stati le sembra ancora realistica?

La prima cosa da fare quando si parla di Israele è allontanarsi dalle idee generali e guardare una mappa. Questo paese conquistatore, colonialista ed espansionista è grande come un francobollo e, dal 1980, si è costantemente ridotto: dopo aver ceduto il Sinai all’Egitto, Israele si è ritirato dal Libano meridionale nel 2002 e da Gaza nel 2007. La sua ricompensa è stata Hezbollah e Hamas, un movimento politico ricco che ha scelto di armarsi fino ai denti piuttosto che garantire la prosperità economica della sua popolazione. La costosissima metropolitana di Gaza è utilizzata esclusivamente per gli spostamenti dei suoi miliziani e come nascondiglio. Comprendo e condivido lo scetticismo degli israeliani di fronte alla prospettiva di un’ulteriore riduzione del territorio. “Preferisco un piccolo Israele con la pace a un grande Israele senza pace”, diceva Ben Gurion. Dopo  il 7 ottobre, è ancora concepibile un piccolo Israele con la pace? La domanda merita di essere posta. 

 

E’ preoccupato per l’importazione di questo conflitto in Francia?

Quello che sta accadendo in Francia, come in tutti i paesi occidentali, è orribile. Non avrei mai potuto immaginare di vivere un simile incubo. Dichiarata nulla nel 1999 da Yasser Arafat, la carta dell’Olp è di nuovo al centro dell’attenzione a Sciences Po, così come a Harvard e alla Columbia. Ancora una volta, il sionismo viene descritto come “un movimento politico organicamente legato all’imperialismo internazionale, ostile a qualsiasi azione di liberazione e a qualsiasi movimento progressista nel mondo” (articolo 22). Ma dalla memoria della Shoah, l’eroizzazione della figura della vittima è diventata, in uno spaventoso paradosso, fatale per gli ebrei. Trasformando la vittima di ieri nel genocida di oggi, questa nuova sacralità apre un capitolo completamente nuovo nella storia dell’antisemitismo, e siamo solo all’inizio.

 

Cosa pensa delle ultime esternazioni di Jean-Luc Mélenchon e dell’atmosfera che si respira a Sciences Po?

La France Insoumise vuole unire l’anfiteatro Boutmy (a Sciences Po, ndr) e la Seine-Saint-Denis, ovvero la gioventù woke delle metropoli e i quartieri islamizzati. Con Rima Hassan, l’attivista palestinese che descrive Hamas come un movimento di resistenza e nega a Israele il diritto di difendersi, Jean-Luc Mélenchon si sta dando da fare. Senza vergogna, sta mobilitando le sue truppe attorno a un unico tema: la nazificazione dello stato ebraico e dei suoi difensori. Dominique de Villepin può anche denunciare il dominio finanziario del sionismo internazionale, ma nella nuova configurazione del mondo, gli ebrei non hanno più peso.

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