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i colloqui

Il negoziato tra Israele e Hamas non andrà avanti in eterno

Micol Flammini

Lo stato ebraico dà a Hamas una settimana: o c'è l'accordo per la liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco o comincia l'operazione a Rafah. Anche in Israele c'è chi si agita contro l'intesa ed è sintomo di un governo che si sente già caduto

Esiste anche in Israele un movimento che si oppone all’accordo con Hamas per il cessate il fuoco e  per la liberazione degli ostaggi. Urla molto, minaccia, ha una posizione dentro alla coalizione di governo ma si comporta come fosse opposizione  ed è convinto che dentro al paese esista una maggioranza silenziosa,  composta da coloro che ritengono  non valga la pena di cessare il fuoco per vedere tornare una ventina di ostaggi, distrutti, traumatizzati, troppo pochi per rinunciare alla guerra contro un nemico che non è vinto, ma si può ancora battere. Orit Strock è la voce di questo movimento, è la ministra per gli Insediamenti e i Progetti nazionali ed è membro del partito di estrema destra Sionismo religioso. Come Strock la pensano il ministro delle Finanze e leader del suo stesso partito, Bezalel Smotrich, e il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, che la scorsa settimana ha avuto un incidente in macchina per eccesso di velocità. Strock ha avuto la caparbietà di mettere il suo pensiero in discorsi ampi, di partecipare a eventi pubblici e di tirare nel mezzo di tanto doloroso dibattito gli interessi dell’esercito: “Ci sono soldati – ha detto alla radio dell’esercito – che hanno abbandonato tutto per andare a combattere per gli obiettivi definiti dal governo, e tutto verrebbe buttato nella spazzatura per salvare ventidue o trentatré persone. Un governo del genere non ha il diritto di esistere”. Orit Strock è parte di questo governo e, nel tentativo di aizzare le famiglie dei soldati e lo stesso Tsahal, ha minacciato senza nessun velo il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ormai avrebbe rinunciato al tentativo di tenere insieme questa coalizione posticcia. 


Il premier si accinge  a vedersi togliere il sostegno dal fianco più a destra della sua maggioranza e i membri del suo partito dicono che è pronto per nuove elezioni, sempre come leader del Likud e sempre sicuro di poter essere riconfermato. Netanyahu non ha commentato le parole di Orit Strock, come non aveva mai fatto riferimento neppure alle condanne già espresse da Smotrich e da Ben-Gvir, si limita ad attendere mentre il negoziato va avanti e le strade di Israele non danno spazio a maggioranze silenziose, come quelle a cui fa riferimento la ministra degli Insediamenti, ma sono il teatro delle proteste gridate delle famiglie degli ostaggi e di tutti coloro che si oppongono al premier e al suo governo. 


I negoziati per trovare un accordo non sono chiusi.  Al Cairo, secondo fonti egiziane che hanno parlato con l’agenzia Reuters, è arrivato il segretario della Cia Bill Burns:  vuol dire che si tratta di una fase di colloqui intensa, a cui gli americani sono molto interessati.  Le pressioni sono concentrate su Hamas che pensa di avere il tempo dalla sua parte e  più allungherà la durata  necessaria per arrivare a un accordo, più crede che potrà costringere Israele a cedere su tutto. Lo stato ebraico ha già ceduto su molto, ma ha una minaccia negoziale che tiene stretta e riguarda l’offensiva nella città di Rafah, dove si trovano quattro battaglioni di Hamas e  parte della leadership nascosta  dietro a circa un milione e mezzo di rifugiati palestinesi  usati come scudi. Gli israeliani hanno dato un ultimatum ai terroristi, hanno concesso una settimana di tempo per portare avanti il negoziato, altrimenti inizierà l’offensiva contro Rafah, che gli americani vogliono venga coordinata in ogni passo con loro: la densità della popolazione è alta, il rischio di un numero di vittime civili anche. Sulla stampa israeliana chi prende parte ai negoziati fa intendere che ci sono possibilità che Hamas accetti, sono i “ma” che il gruppo terrorista potrebbe esigere a preoccupare.

 

Orit Strock non partecipa ai negoziati e non è neppure tra i ministri che ricevono informazioni riservate, agita e cerca chiunque sia contro l’accordo e forse questa maggioranza silenziosa esiste davvero tra la popolazione israeliana in cui è forte la consapevolezza lacerante che gli ostaggi vivi potrebbero essere pochi, quell’obiettivo è perduto, rimane però l’altro: eliminare Hamas. Nessuno però scende in piazza per questo obiettivo, c’è rispetto per le perdite, per chi ha visto e subìto il massacro. La coalizione al potere non si sente già più  di far parte dello stesso governo, ognuno cerca i suoi elettori, in un paese che però continua a chiedere unità. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.