“La cultura conta e l'occidente riscopra la Bibbia per capire la natura umana”
Il Wall Street Journal a colloquio con Jordan Peterson, lo psicologo canadese e guru conservatore che surclassa i liberal sul loro stesso terreno
"Jordan Peterson non sembra considerarsi un conservatore", ha scritto Yoram Hazony sul Wall Street Journal. “Eppure eccolo, ad occupare lo spazio un tempo abitato da pensatori conservatori come G. K. Chesterton, C. S. Lewis, Russell Kirk, William F. Buckley Jr. e Irving Kristol. Rivolgendosi a un pubblico che sembra incapace di discutere qualsiasi cosa altra dalla libertà, Peterson si presenta come un indubbio filosofo difensore dell’ordine. Il suo bestseller ‘12 Rules for Life: An Antidote to Chaos’ (non ancora tradotto in italiano, ndr) conferisce significato a idee come ‘la gerarchia dello spazio, della posizione e dell’autorità, così come al più elementare attaccamento delle persone alla ‘comunità, la religione, il focolare, la casa e la patria’ e alla ‘bandiera della nazione’. Lo straordinario successo delle sue argomentazioni sull’importanza dell’ordine lo ha reso il più significativo pensatore conservatore apparso sulla scena anglofona nel corso dell’ultima generazione. Peterson, 56 anni, è un professore dell’Università di Toronto, nonché uno psicologo clinico. Negli ultimi due anni è giunto alla ribalta per alcune, controverse, interviste televisive. È stato criticato per la presunta banalità delle sue teorie, per la sua retorica farneticante e provocatrice, e per il suo legame con prodotti di self-help online. Ha anche ricevuto le solite accuse di sessismo e razzismo. Da quel che ho visto, queste accuse sono prive di fondamento. Ma anche se Peterson è imperfetto, questo non ci dovrebbe distrarre dalle importanti argomentazioni che ha avanzato, o dalle implicazioni che ci sono per una rinascita del pensiero conservatore”.
Per conoscerlo si deve partire dalle sue “‘12 Rules for Life’, che costituiscono una valida e importante introduzione alla sua filosofia. A partire dalle dottrine dominanti del marxismo e del liberalismo, Peterson insiste strenuamente che la struttura gerarchica della società è radicata nella natura umana, e perciò è inevitabile: ‘La gerarchia della dominanza, sociale o culturale che sia, esiste da almeno mezzo miliardo di anni. È permanente’. Perdipiù i giovani uomini e le giovani donne (ma sopratutto gli uomini) tendono a essere più sani e produttivi soltanto quando hanno trovato il proprio ruolo nel processo che li porta a scalare una gerarchia che rispettano. Quando falliscono in questo tentativo, diventano apatici e si ammalano, privi di valore per chi li circonda e a volte pure violenti, e senza scopo. Concependo le gerarchie politiche e sociali come inevitabili, potrà sembrare che Peterson stia difendendo chiunque si ritrovi al comando. Ma non è così. Egli ripudia la convinzione marxista che le gerarchie tradizionali siano fondate sull’egoistica ricerca del potere. Agli umani piace avere il potere, riconosce Peterson. E tuttavia il desiderio di esso li porta a sviluppare quel tipo di abilità che le loro società valorizzano. In una società ben ordinata, lo status è spesso una ricompensa conferita per aver fatto cose che effettivamente necessitavano di essere fatte: difendere il paese, produrre ciò che serve alla gente, espandere la sfera della conoscenza. Peterson non nega l’accusa marxista secondo cui la società opprimerebbe gli individui.
‘La cultura è una struttura opprimente’, scrive. ‘È sempre stato così. È una realtà fondamentale, universale ed esistenziale’. E però rompe con il pensiero politico dominante quando sostiene che la sofferenza, implicata nel conformarsi alla tradizione, potrebbe valere la candela. Quando un padre disciplina il proprio figlio sta interferendo con la libertà del ragazzo, obbligandolo ad accettare determinati schemi di comportamento e di pensiero. ‘Ma se il padre non si comportasse così’, dice Peterson, ‘permetterebbe al figlio di rimanere Peter Pan, l’eterno fanciullo’. Allo stesso modo, insiste Peterson, ‘è necessario e desiderabile che le religioni abbiano un elemento dogmatico’. Ciò fa sì che vi sia una visione del mondo stabile, che permette a un giovane di diventare ‘una persona ben disciplinata’ e ‘uno strumento ben forgiato’.
L’interesse di Peterson per la tradizione emana da un apprezzamento della debolezza della razionalità dell’individuo. Siamo tutti convinti di capire tanto, dice ai suoi lettori, ma è un’illusione. Quel che percepiamo, invece, è una ‘radicale, funzionale, inconsapevole semplificazione del mondo, ed è quasi impossibile per noi non confonderla col mondo in sé’. Nei paesi occidentali, questo tentativo di riscoperta porta a un luogo soltanto: ‘La Bibbia’, scrive Peterson, ‘è il documento fondativo della civiltà occidentale’. È la risorsa ultima per la comprensione del bene e del male. La sua comparsa ha estirpato l’antica idea che il potente avesse il diritto di sopraffare il debole, un cambiamento di mentalità ‘affatto lontano dal miracolo’. La Bibbia ha sfidato, e infine sconfitto, un mondo in cui l’omicidio degli esseri umani ai fini dell’intrattenimento, della schiavitù, della prostituzione erano semplicemente la normalità delle cose. La cornice intellettuale di Peterson ha, ovviamente, delle debolezze. Ma quel che ha ottenuto è impressionante. Nei suoi scritti e nelle sue comparse pubbliche, ha sostenuto formidabilmente come l’ordine (e non solo la libertà) sia un fondamentale bisogno umano. Un bisogno che, al momento, viene stupidamente ignorato”.