il foglio arte

Ana eccetera, la rivista che esplorava nuovi linguaggi

Lisa Andreani

 Analitica e anarchica, esce in 11 numeri dal 1958 al 1971. Le suggestioni di Pound e della poesia verbovisiva

Nel 1971, sul primo numero della rivista Data, il critico e curatore Germano Celant pubblica un articolo dal titolo Book as Artwork. Nella rivista dedicata ai linguaggi artistici contemporanei e fondata da Tommaso Trini a Milano, il libro appare come lavoro d’arte. Indicato come medium autonomo, esso non richiede altro che pensiero, immaginazione e partecipazione. Allontanandosi da qualsiasi tipologia di spazio privilegiato, esso contrariamente rompe ogni gerarchia tra i generi, siano essi i medium (pittura, scultura, installazione, etc) o le figure operanti (artista, curatore, critico). “Il lavoro “tramite” e “sul” libro […]  non deve evidentemente essere considerato come operazione visuale, ma come argomento riguardo alla natura e alle possibilità funzionali dell’arte o della ricerca comunicazionale”. Il capitolo successivo della ricerca di Celant, qualche anno più tardi, ci conduce a un catalogo del 1977 dal titolo The Record as Artwork: from Futurism to Conceptual Art. Pubblicato in occasione dell’omonima mostra al Fort Worth Art Museum e corredato da immagini e descrizioni dei lavori esposti, la pubblicazione espandeva le ricerche precedenti verso un’indagine sul suono e sul suo dispositivo tecnico, il disco. 

  
Entrambi i supporti, a cui affiancherei il mondo sotterraneo delle riviste coeve a quel periodo, sono intorno agli anni Sessanta e Settanta campi di realizzazione, spazi per alimentare ed esprimere un’arte filosofica e teorica che nulla ha a che vedere con la teoria dell’arte. La pagina stampata, nel suo formato più artistico sino alla sottocultura più sovversiva, era secondo Celant un “medium autosignificante”, in cui dal lettore non era necessario altro che una dimostrazione di lettura e una partecipazione attiva e mentale. In luce di questa autonomia, vale la pena ricordare la storia di un’opera in una dimensione più laterale, in quanto collezione di volumi.

 

Fondata a Genova nel 1958 da Martino Oberto, Anna Oberto e Gabriele Stocchi, la rivista Ana Eccetera è accompagnata da un sottotitolo, “Esercizi, Notizie di lavoro”, con un significato specifico. Infatti, considerata come espressione dell’off kulchur, termine ripreso dal saggio di Ezra Pound Guide to Kulchur, la rivista si offre come laboratorio dove indagare nuove forme di linguaggio. Il termine greco ANA è un prefisso che proviene principalmente dalla figura di Martino Oberto e ne sottende il suo interesse filosofico. La sigla, alla base di tutta la sua produzione, suggeriva al contempo sia una costante applicazione analitica sia una metodologia anarchica con cui affrontare qualsiasi forma di indagine o ricerca. ECCETERA indicava gli altri contribuiti teorici o artistici che sarebbero stati accolti nella pubblicazione. Pubblicata dal 1958 al 1971 in undici numeri, tutti identificati come bollettini, è una rivista-contenitore biennale che ospita al suo interno fascicoli, brochure e volantini stampati singolarmente. Con l’intento di suggerire l’idea di un non-finito, di un’operazione in procinto di una continua attivazione, incompleta per sua natura, la redazione aveva deciso di offrirsi come un laboratorio di forme e prospettive eterogenee e per questo motivo collettive.

  

A collaborare tra i tanti saranno Felice Accame, Jurgis Baltrusaitis, Marco Balzarro, Giampaolo Barosso, Ugo Carrega, Luciano Caruso, Jean-Charles Gaudy, Théodore Koening, Alain Jouffroy, Isidore Isou, Arrigo Lota Totino, Stelio Maria Martini, Ezra Pound, Domenico Parisi, Norman H. Pearson, Enzo Siciliano, Giambattista Vicari. A partire dal 1963, sono tre le serie che tracciano l’arco temporale della rivista e che ne mutano leggermente il titolo: da Ana Eccetera (numeri da 1 a 5) ad Ana Etcetera (numeri 6, 7 e 8) fino a figurare come Ana Excetera (numeri 9 e 10). Un curioso rebus che delinea tre diversi momenti, per contributi e contenuti, che attraverso un impianto tipografico specifico offre una guerriglia alla cultura dalla C maiuscola. Il primo fascicolo, il tanto decantato numero zero, viene pubblicato il 10 luglio 1958, in occasione del ritorno in Italia di Ezra Pound con il quale i fondatori, dopo il film realizzato insieme nel 1955 dal titolo A proposito di Ezra Pound, erano rimasti in buoni rapporti (questa prima uscita contiene traduzioni di recenti Cantos di Pound a cura di Enzo Siciliano). Ana Eccetera attraverso testi teorico-critici su temi filosofici e linguistici affiancati da opere di autori di tutto il mondo, offriva un ampio sguardo sulla allora emergente nuova frontiera rappresentata dalla poesia verbovisiva. La veste grafica, articolata dai fondatori, esprimeva un impegno in un rinnovamento linguistico che accompagnava quello più teorico: l’impaginazione e il carattere tipografico, l’uso del minuscolo, la copertina contenitore rivestita con il foglio di nylon e legata da una fascetta di sovracopertina stampata. 

  

La circolazione ristretta a una minima cerchia dei corrispondenti non limita la notorietà del periodico che in breve tempo acquista una fama internazionale e ottiene riscontri anche da istituzioni come, ad esempio, il Centre Pompidou di Parigi. Tramite la rivista, sostiene Anna Oberto in una recente intervista su Doppiozero, i fondatori entrarono in contatto con personaggi ed esperienze eccezionali: dal già menzionato Ezra Pound a Isidore Isou, fondatore del Lettrismo, da Hubert Damisch a Jean Baudrillard. Era un momento importante, in Italia e anche internazionalmente, di nascita e scambio di riviste autogestite che entreranno poi nella definizione di esoeditoria. Il neologismo fu coniato in occasione di un convegno e di una mostra a Trento nell’ottobre 1971. Il prefisso ESO, per tornare al costante utilizzo di morfemi che vengono anteposti a una parola, come questo testo rimarca, indicava una produzione editoriale esterna ai canali commerciali. Non condizionate dal mercato, queste forme di comunicazione erano mezzi alternativi per protestare e al contempo aspirare a de-gerarchizzazione sociale. Queste riviste non venivano vendute, circolavano liberamente come le loro idee, non c’erano filtri ma solo una grande pratica di assemblaggio: il mescolare i vari materiali arrivati attraverso diversi contatti epistolari e rigorosamente in ciclostile. All’origine quindi, un formato e linguaggio misto da ECCETERA, ETCETERA, EXCETERA.

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