Il Foglio Arte

Basta uno straccio impregnato di colore a un giocoliere dell'arte e della parola

Furio Zara

Gouaches, collages, acquarelli. E poi rime, assonanze, capriole verbali… Nel pantheon di suggestioni di Toti Scialoja, dove tutto si ricompone 

Con il favore di albe discrete, seguendo il mormorio lieve di un bosco attraversato dal vento, si arriva al giardino incantato dove Toti Scialoja trasforma l’arte in un suono complice, in una frustata di colore, dentro un tempo piccolo ed eterno. La tela è una sindone, sopra ci stampiamo la nostra vita. Più di ogni altra cosa, ci incanta il dono della parola. La filigrana profonda che segna il suo cammino è la vampa del sole su una foglia imbevuta di luce.

Romano (1914-1998) – “Roma è il guscio della mia anima” – nato e cresciuto in piazza Cola di Rienzo, tra le palme che dondolano e l’edera che si arrampica sui muri, nel giardino di famiglia, agiata certo – il bisnonno Antonio fu il primo ministro della Pubblica istruzione del governo italiano dopo la Breccia di Porta Pia, il padre Gustavo un ingegnere chimico – a dieci anni Toti disegna donnine nude, a venti abbandona gli studi giuridici per dedicarsi alla pittura, a ventisei la prima personale, subito dopo partecipa alla Resistenza, con il Partito d’Azione nella capitale occupata dai tedeschi. Pratica nuoto agonistico, ama il calcio, tifa Roma, la domenica segue le partite al Campo del Testaccio e poi con gli amici – a piedi, in lenta e meritata processione nell’assolata città – si spinge fino a Piazza Colonna, dove sono affissi, come si usa all’epoca, i risultati della Serie A. 


Dopo la Seconda guerra mondiale frequenta l’espressionismo, poi l’astrattismo, nel periodo newyorchese (seconda metà degli anni 50) è Mark Rothko a indicargli un orizzonte, Willem de Kooning lo spinge lì dove “non si dipinge ciò che si vede, ma ciò che si sente”. Giocoliere dell’arte: dalla Scuola romana di Mafai e Stradone al cubismo arrivando all’Action Painting. Sono di quel periodo le celebri Impronte con la tecnica dello “stampaggio” – garze, tamponi, carte, ricami – ripetute ossessivamente, tracce di un presente che fugge. L’umanità è uno straccio impregnato di colore. E il colore è ora denso, compatto, doloroso; ora lieve, etereo. Ogni teoria di opera è quell’alveare che nelle poesie di Erri De Luca “impasta l’aria con un canto di fondo”, in ogni celletta si agita un piccolo vortice di passioni, il gesto del pittore segue uno sciame di ricordi. Dipinsi l’anima su tela anonima, cose così. Gouaches, collages, acquarelli. Oltre la frantumazione del vivere quotidiano, la superficie dello Spazio diventa specchio del Tempo.


Quante cose è stato Toti Scialoja, quante. Pittore e poeta, per brevità chiamato artista. “Il cieco con la voce buona e il muto che ci vede bene / invitami stasera a cena e arriveremo insieme”, questo è Francesco De Gregori. Poliedrico, eclettico, generoso nel darsi, nel misurarsi nell’ennesimo altrove, nello sconfinare. Scenografo, drammaturgo, costumista, critico d’arte, autore per l’infanzia, per venticinque anni insegnante all’Accademia delle Belle Arti, per tre direttore. Di sé ha detto: “Il pittore e il poeta sono in attesa di una forza che mi attraversa”. La sua arte, un pantheon di suggestioni dove ogni cosa scarta l’oblio, tutto si ricompone e trova assoluzione. Nelle foto – inzaccherato di colori, posando accanto a un quadro – sorride di un sorriso benevolo.


Inizia a pubblicare poesie a sessant’anni, come se il cerchio della vita avesse preso una rincorsa alle ultime curve. Ha scritto Giovanni Raboni: “Quello di Toti Scialoja è il talento poetico più originale e compiuto rivelatosi in Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta”. Filastrocche per bambini. “Una civetta a Civitavecchia / guarda la luna che in mare si specchia”. Le parole si cercano da sé, si attirano per simpatia, come ragazzini che si incontrano il primo giorno di scuola. Suoni complici, rime, consonanze, assonanze, calembour, capriole verbali. E’ una musica dolce e beffarda che si muove in un campo elettromagnetico. Schegge di sentimenti, abbagli, riflessi di nonsense. “Fuori Farfa le farfalle vanno in folla a far follie / le pulcelle sono gialle quelle azzurre son le zie”. Ecco le Animalie, disegni e poesie per i più piccini si diceva allora, oggi la fascetta dorata del libro reciterebbe “Per tutta la famiglia: dai 6 ai 99 anni”. Nello spazio lacerato tra una riga e l’altra arde un’energia commovente e disperata. Tanto agitarsi, per poi scoprire che il segreto intimo della vita è il Ritmo, nient’altro. “La zanzara per decenza / ha una tunica di organza / quando è sbronza vola senza / a zig zag per la Brianza”.


I migliori non perdono mai l’infanzia, la blandiscono per tutta la vita.

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