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Il Figlio

Odiare i voti scolastici, sognare un furgone, credere alla scuola

  Annalena Benini

Mentre io continuo a sperare nell’abolizione dei voti, mio figlio prende la scuola talmente sul serio da accarezzare i suoi nove ogni sera prima di addormentarsi

Mio figlio l’anno scorso ha preso 3 meno in una verifica. Vedevo quel 3 e il suo meno lì accanto ogni volta che aprivo la app del registro elettronico, era un 3 in greco mi pare, o forse in matematica, più probabilmente in entrambe le materie, io fissavo quel numero e lo ritenevo offensivo. Lo ritengo offensivo anche adesso. Che senso ha mettere 3 a un ragazzino che ha sbagliato completamente il compito in classe? Che cosa si ottiene, con quel voto, se non il crollo delle speranze? Nel caso di mio figlio, il 3 ha avuto l’effetto di portarlo psicologicamente verso il 2, anzi direi verso lo zero. Ha pensato: non posso recuperarlo mai più, tanto vale abbandonare gli studi e andare a vivere in un furgone abbandonato con il mio cane, se riesco a convincerlo a vivere in un furgone abbandonato. Poiché non è riuscito a convincere il cane, mio figlio è rimasto a casa e ogni mattina è andato a scuola, sempre più svogliato e sempre più sconfitto. Io intanto sognavo una scuola senza voti. Credevo, sbagliando, che la scuola ideale un giorno avrebbe abolito i voti. Credevo che quello fosse il desiderio dei miei figli. Non è affatto così. Se io ho il distacco, anche il cinismo necessario per capire che un bruttissimo voto, ad esempio un 3, è recuperabile, vale quel che vale, non significa davvero 3 ma significa: studia! Impegnati!, per i nostri figli, soprattutto i più piccoli, quel 3 è proprio un 3 e va rispettato in quanto 3: “Devo prendere 9 per recuperarlo”, diceva mio figlio, aggiungendo che era impossibile e implorando il cane di andare a vivere nel furgone. Era in effetti impossibile. 


È come mettere un grattacielo davanti a una gallina e dirle: adesso devi scalarlo. La gallina guarda il grattacielo e dice: è alto, è importante, è serio, io non ci riesco, sono solo una gallina. Non sa che non è un vero grattacielo, non sa nemmeno che c’è un ascensore al piano terra e che a un certo punto, verso maggio, la professoressa rassegnata dirà: dai, gallina, sali. I ragazzi ai voti credono molto più di noi, perché la nostra scuola interiore è venuta a patti con la realtà, con i problemi più grossi e anche con il ridimensionamento comico di quei voti (il figlio di una mia amica ha preso: meno 1), la loro scuola interiore è ancora quasi intatta e si misura con i numeri. La scuola è eternamente scuola, e in quell’eternità la cosa più importante è ancora e sempre: prof., quanto mi ha dato? Prof., com’è andato il mio compito? Prof., ma me l’ha segnato il + sul registro elettronico visto che ho alzato la mano?  Mio figlio adesso, nella scuola senza il Greco, prende molti 9, soprattutto in Inglese e in Spagnolo, e ogni volta mi telefona dalla metropolitana per dirmelo e per “farmi congratulare”, dice. È entusiasta, perché crede a quei 9 con la stessa intensità e con la stessa ingenuità con cui ha creduto ai suoi 3. Ha creduto di avere un grattacielo da scalare e si è sentito una gallina, adesso si sente una gallina che parla molto bene spagnolo e non vuole più vivere nel furgone. Mi ha detto perfino: mamma, non mi ferma più nessuno. Subito dopo ha detto: non ti ci abituare. Adesso so che l’anno scorso la sua non era indifferenza, era scoraggiamento assoluto. Non era: non prendere sul serio la scuola, era prenderla talmente sul serio da convincersi di non potersi risollevare mai più. Era credere talmente a quei 3 da non immaginare nient’altro che una sfilza di 3. Io  continuo a sognare l’abolizione dei voti, ma adesso mio figlio li accarezza ogni sera prima di addormentarsi.       
 

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