Il figlio

Sento i figli dei vicini che strillano e penso: meno male. Ciao, algoritmo

Chiara Sfregola

Litigare contro le inserzioni social che ti propongono qualsiasi metodo per mettere al mondo un figlio (anche quello astrologico)

Da settimane combatto con le inserzioni su Instagram. La questua informatica si fa sempre più accattivante, e sempre più stupida, nonostante l’imbarazzante quantità di dati che in quattordici anni gli ho fornito. Mi hanno proposto di iscrivere i miei figli al corso di Inglese, di conservare le loro cellule staminali, di comprargli dei pigiamini da colorare col pennarello, che bella attività. Poi una nota azienda di prodotti per l’infanzia ha tentato di convincermi di rendere casa mia baby safe, e un’altra ha tentato di vendermi uno stilosissimo triciclo vintage. Non ho comprato nulla di tutto questo. Non perché sia una madre egoista, ma perché non ho figli.

Tornato a casa a mani vuote, senza neanche uno swipe up degno di questo nome, lo zelante algoritmo ha capito che, nonostante i miei trentasei anni e i pronomi she/her bene in vista nella bio, non sono madre. Così ha pensato di rimediare al suo errore. Proponendomi il congelamento degli ovociti. L’ovodonazione. La fecondazione in vitro. Gli integratori per favorire il concepimento. Il medico con la missione della fertilità. Tutto purché io spenda soldi eh, mica per ripopolare il Paese o per risolvere il problema delle pensioni.

Se non ho figli, pensa l’algoritmo, è perché poverina non posso. Mica perché non voglio. Alla fine deve aver capito che sono lesbica, e ha tentato di spillarmi un po’ di quattrini giocandosi la carta sporchissima della app di astrologia che predice quando avrò una bambina, così da organizzarmi. Forse che non ho figli, chiede timido, perché i pianeti non sono allineati? Già questa mi sembra un’idea più ragionevole, perché in un certo senso è così: non penso sia il momento della mia vita di avere figli. E non so se lo sarà mai, a questo punto. Ci ho anche pensato, dopo una separazione, al congelamento degli ovociti. Sono andata a farmi prescrivere l’antimulleriano. Nel mentre mi è capitato di rivedere per un caffè un vecchio flirt, mia coetanea. “Come va?” Chiedo, “Sto congelando gli ovuli” mi dice lei. “E sì, certo, metti che”, rispondo io (ancora con la ricetta dell’antimulleriano in tasca). “Certo è ’na pratica eh, mica te lo dicono, all’inizio”. Ci ho messo quattro mesi per andare a fare questo benedetto prelievo. Quando ho ritirato i risultati mi sono detta che se ci avevo messo tutto quel tempo a fare le analisi il mio desiderio di maternità non era poi così radicato. Gli ovuli non li ho congelati: sarebbe stata una cosa fatta senza convinzione, come l’assicurazione sanitaria. Da fare per levarsi il pensiero.

Ed è in quel non pensarci il punto: inserzioni a parte, io non ci penso alla maternità. Vivo la mia vita libera da questo pensiero, poi ogni tanto sento i figli dei vicini che strillano e penso “meno male”, e torno a leggere il mio libro. Poi succede che vado a fare l’aperitivo con l’amico etero di turno (invariabilmente alto, barbuto, single e/o monogamo seriale) e lui dice: “Tu saresti una madre perfetta, facciamo un figlio insieme, non dobbiamo neanche andare a letto”. Oramai sono rimasti gli unici, nella mia cerchia, a volere dei figli, perché prendono la cosa con leggerezza: non devono farsi la gravidanza, non devono partorire né allattare, anzi mettono in chiaro sin dall’inizio che vorrebbero una genitorialità part time, da viversi due tre volte alla settimana come la palestra. In pratica, una Instagram opportunity. Lo farei persino io, a queste condizioni. “Ma levami una curiosità - rispondo - A te, su Instagram, che inserzioni ti arrivano ultimamente?”.

 

Chiara Sfregola è sceneggiatrice e scrittrice. Da oggi in libreria con “L’estate verticale” (Fandango, 240 pp.)

Di più su questi argomenti: