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Il figlio

Solo per amore. Esiliata dall'essere madre, ostinata nell'essere madre. L'enigma è: come amare?

Lisa Ginzburg

La maternità raccontata da Hila Blum è un cammino accidentato dove la figlia costruisce la propria storia lontano da chi le ha dato la vita. Due donne affamate di quiete quanto assetate di passione, cervollotiche ma enigmatiche

Viscere, ma viscere che si frantumano e mandano tutto in frantumi. La maternità è un viluppo nel romanzo della gerosolimitana Hila Blum, Come amare una figlia (traduzione di Alessandra Shomroni, Einaudi Stile libero, pp. 208, euro 17). Troppo amore e un’eccessiva immedesimazione reciproca. E un cammino di amore accidentato e “fulminato”: a un certo momento la figlia diciannovenne scompare, non si sa più nulla di lei. La madre finge con il mondo, dice che la figlia è partita, mastica e rimugina solo con il marito lo sgomento annientato, il dolore. Con il passare del tempo, arrivano messaggi di avvistamenti della giovane Leah in luoghi romiti del mondo, racconti di chi l’ha vista viaggiare tra paesi diversi del mondo, errante ma in salute, la madre non ha da preoccuparsi. Nulla è vero, e da qualche parte la madre lo sa, non crede a nessuna di quelle cronache di rassicurazione. Piuttosto, Leah ha costruito una nuova vita altrove: è diventata madre e moglie all’insaputa di sua madre, alla quale tocca la voragine psicologica di spiare la figlia attraverso il vetro di una finestra, in un altro paese lontano da Israele. In incognito. Esiliata dall’esser madre, anche dall’essere diventata nonna. A ritroso vengono ripercorsi e ritessuti fili dolorosi dell’ordito del passato. Una gravidanza al tempo gestita con ambivalenza, tormento, con sempre, incalzante, l’ombra della depressione. Diventare madre “non è un processo di apprendimento, è dimenticare tutto” Hila Blum fa dire alla sua protagonista, Yoela, madre di Leah. Lei inserita in una genealogia al femminile di figlie uniche, e uniche anche nel modo di stare al mondo: donne abitate dalla possibilità dell’amore, affamate di quiete quanto assetate di passione. Donne cervellotiche, donne che del gioiello delle loro preziose nature nemmeno si accorgono. 


A ritroso, per lampi di singoli episodi prendono forma l’infanzia e l’adolescenza della figlia – i gesti, le parole e i silenzi tra una madre che stravede d’amore nonostante il dare alla luce l’abbia posta di fronte a tanti rovesci emotivi, e una figlia che un po’ ricambia, un po’ si difende. L’incastro insieme luminoso e rovinoso di un binomio che esclude il resto del mondo: il marito e padre è a lato, mite, afasico di fronte al criptico dialogo che Leah e la madre tessono tra di loro. “Le storie di madri e figlie non hanno mai un vero e proprio inizio. Partono sempre da metà. Se si tenta di trovare un punto di partenza non ci si riesce, quello sfugge sempre all’indietro. E’ come per l’universo o per i numeri, non c’è inizio”. Sono storie sempiterne le storie di maternità. Vicende antiche, ognuna con una sua madre/matrice, struggente come può esserlo l’iniziazione al dolore delle relazioni umane; dolce come  una guarigione, il cicatrizzarsi di una ferita. 


Una figlia è un enigma, riflette la madre, e in quell’enigma lei da madre naviga e si macera, senza capire, ossessivamente ricostruendo ogni antefatto e tuttavia senza davvero comprendere; qualcosa di essenziale le è sfuggito, anche quando più ha voluto seguire Leah nel suo primo confrontarsi con la vita. Schiacciata dal senso di sconfitta, la madre indaga sulla soluzione all’enigma. La trova nella manipolazione, in una forma di controllo a distanza. E qui arriva, come in ogni storia di simbiosi, la parte più difficile. L’altro lato della medaglia: il controllo, la presa di potere sull’altro essere che troppo amiamo e nel quale troppo ci identifichiamo. Come amare una figlia? Manca il punto interrogativo al titolo del libro; ma a lettura ultimata, riflessiva e malinconica come da lettrice mi sono sentita, quel punto interrogativo l’ho messo, va messo. Perché ogni storia di maternità è non soltanto un enigma: anche un interrogativo, una grande domanda, una vicenda aperta. 

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