(Foto Ansa)

Il figlio

“Mamma sono trans”. Un meteorite in cucina mentre scolo gli spaghetti

Silvia Ranfagni

Quel corpo che è uscito da me non era il corpo giusto, non lo è mai stato. Non è una cosa facile da accettare. Ma l’unica cosa che davvero faccio fatica a digerire è la paura che suscita mio figlio, questo odio incontrollabile negli altri

In principio erano i peli. I peli prendevano ore del mio tempo, lunghe discussioni con la tredicenne, che se li voleva tenere in piena estate. A novembre invece i peli sono diventati una questione minore con un “Mamma sono trans”, detto in cucina mentre scolavo gli spaghetti.


Nessun genitore esce dalla sala parto pensando di sentire la creatura un giorno dire: “Mamma, sono un non binario, cioè un cocktail fluttuante di identità maschile e femminile insieme”, difficile prevedere certe situazioni. Non c’è una sola madre al mondo che allattando sussurri: “Bel bambin* mi*” in attesa di capire chi abbia tra le braccia, tutti i neonati sono di genere conforme e eterosessuali almeno agli occhi del genitore, questo è l’unico orizzonte ereditato da una Storia che ora sta cambiando. Statistiche alla mano, le identità di genere non conforme sono in aumento esponenziale. 


Che sta succedendo? Beh non mi azzardo a cercare di capire più di quello che ho già da capire da quel giorno in cui “Mamma, sono trans” è piombato tipo meteorite nella mia cucina come una bella rogna e proprio all’ora di pranzo. 
E’ successo ormai un anno e mezzo fa. In questo tempo non so il numero di volte che il non binario, dunque trans, mi ha spiegato la differenza tra “identità di genere” e “orientamento sessuale”, ripetendo a voce alta, per sottolineare la mia durezza di comprendonio: “Sono una persona ‘non binaria’”, “demisessuale è solo il mio orientamento sessuale” - una tipica frase all’ora di cena a casa mia. (Per chi non lo sapesse l’orientamento sessuale riguarda da chi sei attratto, mentre l’identità di genere ha a che fare con la percezione di sé.)


In un anno e mezzo ho imparato un sacco di cose, compreso chiamare con un nome nuovo mio figlio; e al maschile. 
E’ stato un lungo viaggio e non è nemmeno finito dal momento che Alex, questo il nuovo nome di mio figlio, punta alla chirurgia che gli sarà accessibile per legge a partire dai diciotto anni, tra tre anni esatti. 
Quel corpo che è uscito da me non era il corpo giusto, non lo è mai stato. Non è una cosa facile da accettare. 
(In questo anno e mezzo ho letto molti libri su questo tema ma solo ne Il corpo di Eva di Silvia Ferreri ho ritrovato in forma narrativa lo strazio per una madre che cerca di fare largo a un nuovo corpo del figlio, accettarlo).


In un anno e mezzo ho anche scoperto che la transizione esiste in natura, tra pesci tropicali, formiche indiane e persino nei polli, ma ho anche dolorosamente compreso che mio figlio viene insultato mentre cammina per strada da solo, stando rispettosamente al mondo. Questa paura che suscita mio figlio, questo odio incontrollabile negli altri, è l’unica cosa che davvero faccio fatica a digerire.
Se “tollerare” vuole dire letteralmente “sopportare la pressione”, allora proprio non  tollero che la libertà individuale possa ancora scatenare reazioni ostili in un mondo dove tutto la solletica - dai video dei cantanti a quelli postati sui social.
Cosa ancora spaventa della libertà?  Cosa della supposta “diversità” in un mondo travolto dalla globalizzazione e il suo clash di mondi?
 


Il viaggio dentro le nuove identità di genere, partito con “Mamma sono trans”, è diventato un podcast scritto con Giovanni Piperno.
Silvia Ranfagni è scrittrice, autrice di un podcast in sei puntate: “Corpi liberi, la storia di Mark, Alex e Silvia: un ragazzo trans, uno non binario e una madre spiazzata in cerca di risposte”, ascoltabile su Spotify,  in collaborazione con Chora Media.

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