(foto di Mario Azzi su Unsplash)

il figlio

Le due ferite: Il rapporto tra madre e figlia tra amore assoluto e distanza irrimediabile

Giacomo Giossi

La storia di Yoela e Leah nell'ultimo libro di Hila Blum. L'allontanamento dal punto di vista di chi è stato abbandonato

Yoela non ha mai conosciuto le sue nipoti e solo per caso ha saputo dove vive ora sua figlia. Da anni lei e la sua unica figlia Leah non si vedono e si deve accontentare di brevi e fredde telefonate. Il motivo della distanza che è cresciuta tra loro anno dopo anno è a Yoela apparentemente oscuro. Ci sono episodi del passato, forse piccole fratture che possono o potrebbero spiegare questa traiettoria che le ha allontanate drammaticamente, rendendole come due estranee. Yoela ricorda e lo fa ostinatamente, tentando di cogliere cosa ha trasformato  il suo rapporto con la figlia. Ma è inutile  pensare di circoscrivere un accadimento che possa sintetizzare una deriva, frutto più dell’amore e del suo relativo possesso che di una qualche forma di mancanza o di assenza.

 

Hila Blum già autrice del bestseller internazionale The Visit (speriamo presto tradotto anche in Italia) e editrice di buona parte della nuova e promettente narrativa israeliana, con Come amare una figlia (Einaudi, ben tradotto da Alessandra Shomroni) ripropone come nel precedente romanzo una narrazione capace di ondeggiare tra passato e presente. Come in un movimento di auto analisi che coinvolge Yoela, protagonista e voce narrante della storia, il romanzo prende in analisi il rapporto madre e figlia, visto dal punto di vista della madre che è anche il punto di vista di chi è stato abbandonato e in un certo senso tradito.

 

Come amare una figlia è concepito come un lungo finale, un surplace in cui tutto è già stato deciso, ma capace comunque di dare forma a tensione e curiosità. La narrazione si muove per piccoli slittamenti. Se da un lato tutto appare naturale e quasi ovvio, dall’altro si intuisce la forza e la violenza che questo amore materno e assoluto può significare. Una violenza che non agisce esclusivamente sulla figlia, ma su entrambe le donne coinvolte. Un legame fisico assoluto che tenta giorno dopo giorno di confermarsi in un’intesa carica di reciproche aspettative.

 

Yoela vive imbrigliata nei propri stessi sentimenti. Lega quando dovrebbe concedere libertà, si fida invece di pretendere possesso. Giorno dopo giorno gli errori si palesano sempre più e assumono la forma tipica dei sintomi di una malattia, a cui corrisponde un’unica parola possibile e  adatta, quella di amore. Ed è dentro questa enorme e irrisolvibile contraddizione che esplode e si brucia il rapporto tra Yoela e Leah, tra una madre in cerca di affetto e una figlia ormai esausta. Inutile ripercorrere i singoli fatti, gli accadimenti passati e mai chiariti come il giorno in cui Leah scivola fratturandosi un braccio o quando, senza avvertire la madre, decide di auto escludersi dal saggio di danza, pur essendo prima ballerina. E’ inutile prestare insistentemente orecchio ai ricordi, perché nessun fatto passato potrà mai essere preso in considerazione da una fantomatica e immaginaria corte giudicante chiamata a indicare chi delle due ha avuto torto.

 

Per poi infine decidere chi deve pagare per quel dolore che solo una cinica anaffettività sembra poter lenire. Hila Blum costruisce con estrema cura una narrazione levigata, precisa e capace di penetrare nelle pieghe dolorose di una coscienza in fiamme. La coscienza di una madre che conosce le proprie colpe, ma non può, come in una condanna mitologica, darne forma concreta. Una madre per certi versi obbligata così a perdersi tra i flutti di continui ricordi che risalgono ostinatamente dal passato. Senza alcuna forma di soluzione, madre e figlia restano irriducibilmente distanti. L’amore che è stato assoluto si trasforma così in una forma di cura, quella necessaria a due corpi feriti. Due donne rinchiuse, libere solo restando l’una lo specchio dell’altra.

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