Maria Butina (foto Facebook)

La fonte della fede russa

Pasquale Annicchino

Le identità di vedute e le sinergie fra attori e sistemi inconciliabili non si possono spiegare seguendo solo gli interessi materiali. Indagine sul potere russo oltre le spie e i soliti rubli

E’ una storia di pistole e tradimenti. E’, come vedremo, anche (e soprattutto) una storia di religione. E forse di Apocalisse. Riavvolgiamo il nastro e cominciamo dall’inizio.

 

Per capire i rapporti tra Mosca e Washington bisogna appuntarsi il nome di Maria Butina, considerata dalla Russa “prigioniero politico”

Per l’accusa Maria Butina era un agente al servizio di Mosca con la missione di creare dei canali di comunicazione parallela tra il Cremlino e i vertici Repubblicani. Secondo l’FBI lo strumento di infiltrazione erano alcune associazioni vicino al Partito Repubblicano, come la National Rifle Association (NRA). Non è un caso che Butina abbia fondato nel 2011 in Russia l’associazione Pravo na oruzhie (diritto alle armi). Gli agenti statunitensi attribuiscono alla Butina la redazione del piano “Diplomacy Project” che mirava a cambiare le relazioni tra Washington e Mosca. Del resto nel 2015 la Butina lo anticipa con un intervento su The National Interest, Secondo la giovane siberiana dai capelli rossi solo un Presidente Repubblicano potrà cambiare la situazione dei rapporti tra Mosca e Washington. E’ la stessa Butina che, sempre nel 2015, durante il FreedomFest di Las Vegas, prende la parola subito dopo un intervento di Donald Trump per chiedergli quale fosse la sua opinione sulle sanzioni contro la Russia. “Non credo abbiate bisogno di sanzioni”, la risposta di Trump. Butina è in contatto a Mosca con Alexander Torshin, vice governatore della Banca Centrale russa e già vice presidente del Consiglio della Federazione Russa. Con lui organizza dei viaggi per portare a Mosca esponenti di rilievo della NRA, per gli agenti è lui a manovrarla. Strumento chiave per la campagna della Butina è il businessman Paul Erickson che si innamora perdutamente di lei e la introduce nei meandri dell’establishment repubblicano con i quali ha una familiarità che risale a molti anni addietro. Sorprende leggere nei documenti dell’accusa che una delle modalità per stabilire canali di comunicazione parallela tra Mosca e Washington potesse essere la partecipazione al National Prayer Breakfast. L’evento, organizzato dalla Fellowship Foundation, mira a riunire leader politici e di diverse organizzazioni nel nome del cristianesimo. In uno dei messaggi intercettati dagli agenti di americani i co-cospiratori di Maria Butina scrivono che “le reazioni alla presenza della delegazione in America saranno comunicate DIRETTAMENTE al Presidente e al Ministro degli esteri della Federazione russa”. Ma la storia dei rapporti tra Mosca e Washington è solo una storia di spie? Di una trentenne siberiana di Barnaul dai capelli rossi ora rinchiusa in un penitenziario statunitense? Maria Butina è stata infatti condannata a 18 mesi di reclusione dopo aver ammesso di aver agito come agente di un governo estero senza registrarsi e seguire le procedure previste. Per l’ambasciata russa negli Stati Uniti Maria Butina è “un prigioniero politico, […] una vittima della repressiva legislazione statunitense”, per Vladimir Putin la sua condanna è “un oltraggio”.

 

“La destra cristiana americana ha speso 50 milioni di dollari per finanziare campagne e azioni in Europa negli ultimi 10 anni”

Esiste in una parte della destra religiosa statunitense una vera e propria fascinazione per Mosca e questo ha un impatto anche sullo scenario politico e religioso europeo. Commentando una recente inchiesta di Open Democracy, Nello Scavo ha scritto su Avvenire che: “La destra cristiana americana ha speso almeno 50 milioni di dollari per finanziare campagne e azioni in Europa negli ultimi dieci anni”. Il più grande investitore, l’Associazione Evangelica Billy Graham, avrebbe speso in Europa più di 20 milioni dal 2008 al 2014. Ma, ancora una volta, come nel caso russo, l’ideologia conta più dei dollari (o degli euro). E’ bene comprendere il contesto in cui si sviluppa la storia dei “rublodollari” perché è una storia che ci ricorda quanto per capire le cose di questo mondo conti avere un’intuizione sull’“altro mondo”, una tensione sulle aspirazioni più profonde degli individui: quelle che riguardano il religioso e la natura stessa dell’uomo. Quello di Billy Graham non è un nome qualsiasi, ma è un personaggio cui occorre dedicare almeno un capitolo di questa storia prima di fare ritorno in Italia per comprendere quanto il posizionamento verso est del nostro paese non dipenda da una nottata al Metropol di Mosca, ma sia silenziosamente in atto da anni, uno spostamento silente che ha però radici profonde.

 

Billy Graham è stato una delle figure religiose più significative del ventesimo secolo, anticomunista viscerale vedeva nel socialismo reale una dei segni della “battaglia che il diavolo in persona ha dichiarato contro Dio”. Proprio per questo motivo destarono particolare sorpresa le sue parole quando nel 1992, durante una visita in Corea del Nord, aveva descritto il dittatore Kim-Il-sung come un “pensatore gentile e logico”. Una persona “amata da tutti”. Cosa è successo a Billy Graham? Molti a Washington cominciarono a farsi questa domanda. Graham, saldo nei suoi principi, era arrivato alla conclusione che un approccio frontale rispetto ai regimi comunisti non avrebbe funzionato. Bisognava separare le idee e i regimi dalle persone. Già a metà degli anni ’80 aveva suscitato le ire degli anticomunisti più intransigenti perché aveva deciso di partecipare alle ben note “conferenze per la pace” sponsorizzate dall’Unione Sovietica. Graham aveva già da qualche tempo mutato il suo atteggiamento. Alla fine degli anni ’70 un funzionario del dipartimento della Difesa era andato a incontrarlo a casa sua, a Montreat in North Carolina, e gli aveva rivelato quanto vicina fosse la possibilità dell’olocausto nucleare. Secondo il biografo di Graham, John Pollock, il reverendo rimase molto scosso dopo quella conversazione. E’ proprio in quegli anni che Graham comincia un tour dei paesi dell’est Europa: Ungheria, Polonia, Romania.

 

Nel 1978, in Polonia, fa una predica vicino Cracovia quattro giorni prima che il cardinale del posto, Karol Wojtyla, venga eletto Papa della Chiesa Cattolica con il nome di Giovanni Paolo II. Si intensifica intanto il suo forte antinuclearismo. Nel 1982 è presente ancora una volta a una conferenza sponsorizzata dai sovietici contro la “catastrofe nucleare”. Billy Graham era manipolato da Mosca? La domanda diventava insistente. Al Wheaton College, l’università che aveva frequentato, cominciarono ad apparire i cartelli degli studenti “Billy Graham è stato ingannato dai sovietici”. Graham va avanti. Nel 1985 quando arriva in Romania non è critico nei confronti del regime nonostante la polizia avesse tentato più volte di sabotarlo tagliando i fili dei microfoni e degli altoparlanti e limitando la possibilità per le persone di assistere alle sue prediche. Quando arriva alla cattedrale ortodossa di Timisoara ci sono oltre 150 mila persone ad attenderlo. Nicolae Ceaușescu impazzisce e cancella l’incontro bilaterale che era stato già organizzato. Aveva capito che quello era un segno dei tempi. Fu proprio la protesta dei protestanti di Timisoara a dare il via alla serie di eventi che poi portarono alla fine del regime comunista in Romani quattro anni dopo. Nicolae Ceaușescu morirà, condannato alla pena capitale circondato dalle grida: “Morte ai traditori!”. Nel 1992 Billy Graham riusciva addirittura a radunare 100 mila persone allo stadio Olimpico di Mosca. Passerà alla storia come uno di quelli che ha “gentilmente” dato una spallata ai regimi comunisti. Muore il 21 febbraio 2018 a 99 anni di età. Il suo erede è il figlio Franklin che eredita, oltre alla missione, anche tutta la rete di contatti del padre. Sarà proprio lui a volare a Mosca a inizio marzo 2019 per un viaggio che sostiene di aver comunicato in anticipo al vice Presidente Pence. A Mosca incontra Vyacheslav Volodin, il “cardinale grigio”, secondo la definizione del giornalista russo Mikhail Zygar in “Tutti gli uomini del Cremlino”. Presidente della Duma e sottoposto al regime di sanzioni statunitensi dal 2014 per il suo ruolo nel conflitto in Crimea. Il 5 marzo Graham aveva già incontrato il Patriarca Cirillo I, da più parti accusato di essere un ex agente del KGB. Ricomincia quindi la grigia storia dei Graham? Mosca e Washington sono più vicine di quanto effettivamente non sembrino? In questo caso c’è un dichiarato apprezzamento di Graham junior per le politiche a favore del cristianesimo di Putin, la sua battaglia contro i diritti LGBT e contro l’Islam radicale. Gli argomenti per cui numerosi esponenti della Religious Right statunitense sono affascinati da Vladimir Putin. E’ proprio in occasione di un evento di cui Franklin Graham si fa carico dell’organizzazione, il “World Summit in Defence of Persecuted Christians” che sarebbe dovuto avvenire, nel 2016, prima delle elezioni statunitensi, un meeting fra Donald Trump e Vladimir Putin. L’evento non si terrà poi a Mosca a causa di una protesta contro le leggi draconiane approvate da Vladimir Putin che impattano sulla libertà religiosa delle minoranze. Il Summit si terrà successivamente, nel maggio 2017, a Washington. Donald Trump è ormai già diventato Presidente.

 

In parte della destra religiosa statunitense vi è una fascinazione per Mosca e questo ha un impatto sullo scenario politico europeo

L’Italia non è marginale in questo continuo oscillare della Storia quando, proprio ora, sono i paesi dell’est (che sotto i regimi comunisti avevano vissuto la soppressione della religione organizzata, la promozione dell’ateismo di stato e le persecuzioni della Securitate) a guidare il great awekening religioso in questa parte d’Europa. E’ il 3 novembre 2009 quando la Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo decide che l’affissione obbligatoria del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane costituisce una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La decisione provoca una rivolta. Il governo italiano si mobilita per proporre ricorso e accanto all’Italia si schierano tutti i paesi dell’Europa dell’est. Nessun paese dell’Europa occidentale. Nessuno. Sono numerose le organizzazioni che intervengono davanti alla Corte di Strasburgo, tra queste l’European Centre for Law and Justice (ECLJ) che ha importanti legami con l’American Centre for Law and Justice, organizzazione che nel corso degli anni ha contribuito con numerosi ricorsi davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti a ribaltare la giurisprudenza a favore della destra religiosa. Il caso italiano per Grégor Puppinck, già allora direttore dell’ECLJ ben rappresenta “il paradigma di quelli che vogliono secolarizzare l’Europa e rimuovere il patrimonio cristiano dal suo spazio pubblico”. Era stato lo stesso Puppinck, il 28 luglio 2010, a invocare una “alleanza contro il secolarismo” dalle colonne dell’Osservatore Romano. La decisione della Seconda Sezione della Corte di Strasburgo viene ribaltata il 18 marzo 2011. Non si sono attivati solo gli “americani” in salsa europea dell’ECLJ, l’ambasciatore italiano Antonio Landi ringrazia ufficialmente il Patriarca russo Cirillo I descrivendo la Chiesa ortodossa come uno “dei più importanti e decisivi alleati” in questa battaglia. Ci sono due documenti che testimoniano questa sinergia, questa visione del mondo condivisa tra il mondo russo e parti del mondo conservatore statunitense ed italiano. Dopo la prima decisione della Corte di Strasburgo l’arcivescovo Hilarion di Volokolamsk, allora già a capo del dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa, scrive una lettera al Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone in cui si lamenta dell’approccio sempre più “anti-cristiano” dell’istituzione chiamata a proteggere i diritti umani in Europa. La Corte si è trasformata in uno strumento di “promozione di una ideologia ultra-liberale e per questo crediamo che le comunità religiose europee devono essere coinvolte in una discussione a proposito del suo operato”. Nel 2009 il Patriarca russo aveva scritto una lettera all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lamentandosi della decisione di Strasburgo e sottolineando come “Il patrimonio cristiano dell’Italia e di altri paesi europei non deve diventare una questione oggetto di giudizi da parte delle istituzioni europee per i diritti umani”.

 

Islam, Europa e declino dell’occidente costituiscono un cocktail che produce alleanze di civiltà che diventano alleanze geopolitiche

La caduta del muro di Berlino e la fine dei regimi comunisti hanno scatenato la corsa a una ricerca di senso e d’identità. In alcuni casi, come quello della ex Jugoslavia, per colmare il vuoto sono subito emerse le identità religiose che hanno contributo ad una guerra fratricida. Lo stesso avviene sullo scenario globale con la riscoperta del cristianesimo identitario in alcuni paesi e l’avanzata dell’Islam politico in altri. Lo scenario da culture war si intensifica, l’ascesa dei movimenti populisti in occidente si appropria di questi simboli e di queste narrazioni. Non devono allora sorprendere le identità di vedute e le sinergie fra attori e sistemi apparentemente inconciliabili se si guarda al mondo solo dal punto di vista degli interessi materiali. La paura dell’invasore islamico, la critica alle istituzioni sovranazionali, il declino della civiltà occidentale e l’attivismo LGBT opportunamente miscelati costituiscono un cocktail che produce alleanze di civiltà che diventano poi alleanze geopolitiche. Tutto in nome del katéchon, richiamato per fermare la venuta dell’Anticristo e salvare il cristianesimo globale dal declino. Come ha spiegato Massimo Cacciari in una sua recente pubblicazione, il katéchon non si accontenta però solo di una potestas politico-amministrativa. Deve necessariamente attingere anche a un’auctoritas spirituale e, nel farlo, entra in concorrenza con la chiesa. E’ una battaglia molto più profonda di quella dei “rublodollari”. Riguarda l’anima della nostra civiltà. Su questo i cellulari in mano alle procure che indagano su Moscopoli non potranno offrirci risposte.