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Quanto rischiamo con le interferenze russe?

Eugenio Cau

Finora nessuna elezione è stata rubata dagli hacker, ma se continuiamo a sottovalutarli potrebbe esserci una prima volta

Roma. Da qualche giorno negli Stati Uniti si è ricominciato a parlare di interferenze russe nelle elezioni del 2016 come se la ferita ancora bruciasse. L’ex procuratore speciale Robert Mueller, durante un’audizione tanto attesa quanto deludente al Congresso, ha detto che non soltanto le interferenze elettorali nel 2016 ci sono state (questo era scritto in maniera molto chiara nel suo report, ed era stato acclarato ancora prima dalle agenzie d’intelligence tutte in coro), ma che gli agenti russi “ci stanno lavorando mentre noi siamo qui seduti”. Un giorno dopo, la commissione Intelligence del Senato americano ha pubblicato i risultati di un’inchiesta durata mesi e in cui sono stati sentiti oltre 400 esperti sulle interferenze elettorali. I senatori hanno rivelato che nel 2016 l’intelligence russa ha cercato di hackerare i sistemi elettorali di tutti i 50 stati americani. Non sono riusciti a violarli, dice la commissione, ma il semplice tentativo è già preoccupante, e se si espande un po’ la visuale il quadro sembra quasi quello di una fortezza sotto assedio: secondo una ricerca pubblicata da Microsoft, le organizzazioni politiche americane, compresi think tank e aziende che lavorano con legislatori e candidati, sono state oggetto di oltre 800 tentativi di cyberattacco soltanto nell’anno scorso da parte di hacker di stato di Russia, Iran, Corea del nord. E questo per non parlare degli hackeraggi alle aziende private, che faticano a difendere i propri segreti industriali.

 

E dunque, visto che sappiamo che i tentativi ci sono e sono più forti che mai: le elezioni americane del 2020 saranno hackerate? E quelle italiane, spagnole o tedesche? Anzitutto bisogna fare una distinzione importante tra l’azione degli hacker, che puntano a prendere il controllo dei sistemi informatizzati che regolano le elezioni, e l’azione dei troll, che cercano di influenzare il discorso pubblico utilizzando le piattaforme di social network. Ci sono anche casi come Cambridge Analytica, in cui attività di profilazione degli elettori tutto sommato legittime furono fatte con metodi illegittimi e con dati ottenuti illegalmente.

 

Questi tre metodi di influenza elettorale hanno enormi differenze, a partire dalla legalità: mentre hackerare un sistema elettorale è palesemente illegale, la profilazione degli elettori si pone in una zona grigia. Ma specie negli Stati Uniti ogni variazione sparisce davanti alla polarizzazione politica. Assicurarsi che hacker di un altro paese non entrino nei tuoi sistemi elettorali dovrebbe essere una priorità indipendentemente dal partito di appartenenza, ma per Donald Trump ammettere che c’è del lavoro da fare per proteggere le elezioni del 2020 equivale ad ammettere che anche le elezioni del 2016 sono state in pericolo, e per un presidente perennemente assediato dal fantasma della collusione con la Russia significa mettere in dubbio la legittimità della propria vittoria.

 

Lo scorso aprile il New York Times ha raccontato che Kirstjen Nielsen, ex segretario della Sicurezza interna poi costretta a dimettersi, doveva lavorare ai sistemi di sicurezza informatica per le elezioni del 2020 senza poterne parlare al presidente Trump, per paura di irritarlo. Quando il suo dipartimento cercava di sollevare il problema, la Casa Bianca evitava di metterlo a calendario. Ci sono alcuni movimenti simili a livello legislativo: il Congresso ha sì approvato un pacchetto da 380 milioni di dollari per aiutare gli stati a mettere in sicurezza i loro sistemi elettorali, ma il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, due giorni fa ha bloccato un disegno di legge che avrebbe aumentato in maniera consistente gli aiuti agli stati e reso obbligatorie alcune buone pratiche di sicurezza informatica. In Europa assistiamo a dinamiche simili. In Italia, per esempio, il pericolo delle interferenze elettorali è ridicolizzato dalle forze populiste e accolto con isteria dall’opposizione. Finora, in occidente, nessuna elezione è stata rubata dagli hacker (si potrebbe discutere dei troll, ma questo è un discorso più complesso). Ma finché il tema sarà politicizzato e sottovalutato le possibilità di una prima volta sono molto alte.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.