Julian Alaphilippe e gli altri vincitori della Milano-Sanremo

Il corridore francese ha conquistato la Classicissima battendo allo sprint Naesen e Kwiatowski

Giovanni Battistuzzi

Julian Alaphilippe una bicicletta avanti ai compagni d'avventura sotto il traguardo di via Roma. Julian Alaphilippe migliore tra i migliori, primo uomo a chiudere sull'attacco di Alberto Bettiol sul Poggio, primo a cercare di fare il vuoto nell'ultima salita, primo all'arrivo della Milano-Sanremo, quasi fosse una conseguenza inevitabile. Vincitore della Classicissima che vive a ogni vigilia l'incubo dei velocisti, razza ciclistica, almeno per vulgata, da eliminare da ogni corsa che si rispetti. E così la Deceuninck - Quick Step, squadra del francese, fa di tutto per farli saltare. E poco importa se con la stessa maglia corra Elia Viviani che è sprinter di razza, sicuramente alternativa di tutto rispetto e di comprovata affidabilità al giovanotto d'Oltralpe. Ogni tanto va male agli sprinter, ogni tanto a Sanremo diventano una variante trascurabile. Ogni tanto Cipressa e Poggio diventano un'autostrada ciclabile ad altissima velocità e tanti saluti a chi il meglio lo dà nelle ultime centinaia di metri prima del traguardo. La squadra belga ha iniziato a menare fortissimo sui pedali e in molti sono saltati, in realtà sono quasi tutti. Sono rimasti prima in sei e poi in dieci e tanti saluti al plotone che si è sparso per la Riviera dei fiori. Davanti c'era il massimo che si poteva desiderare: c'era il campione del mondo Valverde e l'ex campione del mondo Sagan, c'era Trentin con una voglia di vincere tale che ha provato l'assolo, c'era Naesen che quando non deve lavorare per gli altri c'è sempre e c'era Kwiatowski, che una Sanremo l'ha vinta, ma vuoi mettere il bis. C'erano anche Vincenzo Nibali rientrato grazie a un Mathej Mohoric funamobolo in discesa, Wout Van Aert che a ogni gara scopre di andare più forte e Simon Clarke che forte c'è sempre andato, ma adesso lo stanno scoprendo pure gli altri. E poi c'era lui, Alaphilippe, a braccia alzate una ruota davanti a tutti come fosse naturale, come fosse facile: per il francese una giornata di grazia in un inizio di stagione di grazia. Come se non potesse essere altrimenti, ché un Alaphilippe così in palla, così determinato, così chirurgico nel modo di correre non si era mai visto. Anche se finora si era visto tanto e bene.

 

E forse non poteva andare altrimenti anche la fuga su e giù dal Berta di Fausto Masnada, che un Fausto solo al comando della Milano-Sanremo, era doveroso nell'anno del centenario della nascita di Fausto Coppi. Un omaggio alla storia di uno dei corridori più interessanti del panorama italiano, quantomeno per tigna, volontà di fare, capacità di non demoralizzarsi. Ché Alaphilippe avrà pure vinto, ma una piccola (e grande) vittoria se l'è portata a casa pure il bergamasco.

 

La stessa di cui si può fregiare Niccolò Bonifazio, che sarà nato a Cuneo ma che è ligure da sempre, e che nella discesa della Cipressa ha messo in scena una planata perfetta, un elogio alla follia in bicicletta e non solo per la velocità. L'uomo della Direct Énergie si è reso partecipe di un gesto d'amore per il rischio, per l'azione sconsiderata, dettata però da una speranza: cercare di sovvertire la prassi per cercare l'improbabile meraviglia del coup de théâtre.

 

Ben più piantato a terra nei pensieri e nelle azioni è Adam Hansen che per decine di chilometri ha fatto quello che sa fare meglio: mettersi pancia a terra a tirare il collo al gruppo. Quasi da solo l'australiano della Lotto-Soudal ha riportato il gruppo sui primi, allungando il gruppo come fosse un gomitolo da dipanare. Vincitore è però lo stesso, medaglia d'onore al gregariato fatto bene.

 

E vincitore lo è pure il Team Novo Nordisk, squadra Continental non troppo considerata. Pronti, via e quattro corridori su sette in fuga, come a dire: ci invitate poco, noi sfruttiamo al massimo quel poco che abbiamo. E per un team che ingaggia solo corridori diabetici, l'idea di dimostrare al mondo che nonostante questo si possa correre ugualmente, e bene, è un doppio successo, qualcosa che fa guardare al futuro con ottimismo.

 

Lo stesso ottimismo con il quale devono guardare al domani Matteo Trentin e Wout Van Aert. Il primo innamorato dell'arrivo solitario in Riviera, ma raggiunto un chilometro dopo il tentato affondo post Poggio, all'attacco per necessità di avventura, per amore del rischio anche quando può essere un buco nell'acqua; il secondo sesto all'arrivo dopo la prima marcia di quasi trecento chilometri dopo aver vinto tanto, tantissimo, nel ciclocross. In pochi se lo sarebbero aspettato, lui ha detto con candida semplicità che va bene così, non ho ancora capito quali sono i miei limiti.

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