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“Guai a pensare che l'economia della Lombardia sia fatta di tavolini e ristoranti”

Mariarosaria Marchesano

Non solo bar. “Molte imprese sono uscite dalle catene di produzione”, dice il bocconiano Percoco

“Milano e la Lombardia di nuovo al centro del mondo, dopo Expo 2015”: così recitava uno slogan in occasione dell’assegnazione all’Italia dei Giochi olimpici invernali 2026 e il professore della Bocconi, Marco Percoco, un economista-geografo come lui stesso si definisce in questo colloquio col Foglio, aveva calcolato l’impatto economico sul territorio lombardo dei flussi di spesa previsti. Da allora, poco più di un anno fa, sembrano passati secoli e la prospettiva delle Olimpiadi, dice in sintesi Percoco, non rappresenta più per Milano e la Lombardia una nuova occasione per stare al centro del mondo, ma un’opportunità per rilanciare l’immagine a livello internazionale perché il Covid ha riportato indietro le lancette dell’orologio e la regione più produttiva e brillante d’Italia sembra aver smarrito la bussola.

   

“E’ questione di identità e di vocazione territoriale e quella della Lombardia è legata alla sua industria e alle relazioni che questa è in grado di generare – dice Percoco – Ma mi pare che se ne parli fin troppo poco mentre sembra che l’unico problema sia far riaprire bar e ristoranti. Per carità, il commercio è fondamentale, ma bisognerebbe concentrarsi su come far ripartire l’industria lombarda, che per l’Italia equivale a recuperare una percentuale significativa di Prodotto interno lordo. La mia impressione è che l’offerta sia diventata più fragile perché molte imprese sono uscite dalle catene di produzione internazionale”. In effetti, dalle ultime rilevazioni di Assolombarda emerge che a giugno prosegue la graduale risalita dell’economia lombarda, ma il recupero resta parziale. Dopo lo choc di marzo e aprile, quando è stato stimato un crollo del 45 per cento su base annua, e la lenta risalita di maggio (-30 per cento), il mese scorso l’economia ha mostrato segnali di accelerazione ma rimane su livelli ampiamente inferiori rispetto al periodo antecedente al Covid. Certo, è ancora presto per vedere dispiegati gli effetti della riapertura che per molte aziende è stata graduale e faticosa, anche per l’organizzazione delle misure di distanziamento, ma in questa lentezza di recupero potrebbe annidarsi, secondo l’economista, un male oscuro di cui nessuno si preoccupa. “Le imprese lombarde sono collocate su catene globali del valore e il blocco del commercio internazionale che c’è stato potrebbe aver minato la loro capacità di mantenere relazioni solide con committenti e fornitori. Parlo del settore della moda, della componentistica auto, della produzione di macchinari, della meccatronica. Insomma, del made in Italy. Quando si esce da queste filiere non è affatto facile rientrarvi. Capisce cosa intendo quando dico che la situazione non si risolve dicendo ‘torniamo nei bar’? Guai a pensare che l’economia della Lombardia sia fatta di tavolini e ristoranti”.

   

A questa osservazione si potrebbe replicare che nessuno pensa veramente che le cose stiano così e che c’è da considerare l’effetto mediatico degli appelli – anche di istituzioni pubbliche – per un ritorno alla vita normale. “Io dico solo che va fatta una riflessione seria su come riposizionare l’industria lombarda sui mercati internazionali. Bisognerebbe capire quali imprese sono uscite e riaccompagnarle per mano, aiutarle ad acciuffare la ripresa economica”. Ma non potrebbe giovare in questo senso l’effetto traino di una ripresa sprint della Germania, il cui sistema produttivo è strettamente connesso con quello delle regioni del nord, in particolare Piemonte e Lombardia? “Sì, questo può aiutare, sempre che nel frattempo le imprese tedesche non abbiano sostituito i partner italiani con altri soggetti. Ci sono stati momenti di vuoto nei rapporti industriali tra paesi e non abbiamo riscontro sulla tenuta delle catene produttive italo-tedesche. Per questo dico che bisognerebbe almeno fare una ricognizione in questo senso”. La visione di Percoco potrebbe trovare un riscontro negli ultimi dati sulla liquidità erogata alle imprese tramite il fondo nazionale di garanzia. L’imbuto burocratico sembra superato e secondo le elaborazioni del gruppo Nsa, nel periodo tra marzo e luglio 2020 sono state finanziate in Lombardia domande per 11,6 miliardi di euro, più di dieci volte in più rispetto agli stessi mesi del 2019. Ma, come spiega il presidente Gaetano Stio, questa crescita senza precedenti ha come protagonista i finanziamenti sotto i 30 mila euro, come si vede dall’importo medio complessivo erogato che è passato da 196 mila euro del 2019 a circa 80 mila di quest’anno proprio per effetto dell’incidenza dei prestiti di piccola entità. Per la precisione, le operazioni fino a 30 mila euro (garantite al 100 per cento dallo stato) sono passate da 10.630 registrate lo scorso anno a 700.740 quest’anno. Quelle superiori a 30 mila euro, invece, sono aumentate in modo molto meno che proporzionale a 102.150 da 29.970 del 2019. “Non abbiamo un riscontro scientifico, ma mi pare abbastanza chiaro che l’accesso alla liquidità sia stato reso più facile per le microimprese e in un’ottica emergenziale, mentre le filiere storiche della Lombardia stanno ancora soffrendo e andrebbero invece salvaguardate anche con azioni di politica economica adeguate”, conclude Percoco.

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