Avvocati d'affari, il gran business dei facilitatori di business

Gianluca Ferraris

Chi sono le grandi law firm in città e perché gli italiani reggono la concorrenza internazionale. Tra nobiltà e global-local

Il 25 gennaio 2006 il Corriere della Sera raccontava l’assalto degli avvocati della City londinese a Milano. I toni dell’articolo, rispetto a quelli di un pezzo analogo pubblicato pochi anni prima, ancora in piena sbornia da economia globale (“Il legale? Solo se anglosassone”), erano decisamente più allarmati: fra velleità protezionistiche e richiami a un mercato che avrebbe perso la sua identità, pareva di assistere agli stessi peana pronunciati per altri pezzi di made in Italy, dal calzaturiero all’alimentare. La minaccia si è sgonfiata nell’arco di due lustri, e oggi il cerchio magico degli studi d’affari attivi nel paese, contrariamente a quanto accaduto in Germania o Francia, è̀ ancora formato soprattutto dalle grandi insegne nazionali, anche se ovviamente i grandi studi internazionali hanno conquistato la loro quota di mercato. Milano è un epicentro naturale, dato che intorno alla città gravitano oltre l’80% degli addetti e del fatturato di settore: circa 2 miliardi di euro che “restano appannaggio di una élite oggi numericamente ristretta, visto che parliamo di meno del 10% dei professionisti, e ancora dorata a dispetto di una corsa al ribasso dei tariffari”, come spiega al Foglio il direttore di Legalcommunity e Mag, Nicola Di Molfetta, che da oltre un decennio segue le evoluzioni del settore e ha appena pubblicato il saggio Avvocati d’affari (LC editore).

 

Finita o ridimensionata l’era dei salotti e del capitalismo di relazione, con l’avvocato Franzo Grande Stevens che fungeva da proconsole Fiat sotto la Madonnina, grisaglie come quelle di Berardino Libonati, Natalino Irti, Guido Rossi e Carlo D’Urso a presidiare quasi ogni cda e cognomi diventati brand (Gianni Origoni Grippo, Bonelli Erede Pappalardo, Chiomenti) a suggellare grandi fusioni e privatizzazioni, le retroturbolenze del grande capitale, per dirla con Piketty, hanno portato negli ultimi anni a una ridefinizione del ruolo e della funzione degli studi legali più importanti. Per questo l’attività delle law firm in città diventa punto d’osservazione privilegiato e insieme metafora delle evoluzioni subite dall’economia milanese e italiana. Si può partire dal fondo, dalle due facce di una medaglia che ha tenuto in fibrillazione le law firm per tutto l’anno: Brexit ed Ema. “Il mancato arrivo dell’Agenzia del farmaco è stato un brutto colpo per un comparto che da tempo sta investendo su life science e proprietà intellettuale: si tratta di due delle discipline più anticicliche e promettenti del momento, insieme all’antitrust e al diritto del lavoro, e sicuramente avrebbero tratto grande beneficio dalla presenza di Ema in città. Senza contare l’indotto”, continua Di Molfetta. “Brexit, d’altro canto, offre prospettive di tipo differente e farà sì che alcune grandi partite ritrovino una dimensione local: e i lobbisti e consulenti stranieri costretti a confrontarsi con realtà ostiche come il diritto civile e fiscale o del lavoro italiano, necessiteranno di professionisti all’altezza”. Il fermento porta con sé alleanze fra studi stranieri e tricolore, ma anche cambi di casacca con un’intensità mai registrata prima: “Una volta erano infrequenti e traumatici, oggi siamo a una media di 60-70 l’anno, il che a volte comporta il trasloco di intere linee di business da una realtà all’altra”. L’assioma caro alle serie tv statunitensi, “fattura più ore che puoi e diventerai partner in cinque anni e socio in sette” ha lasciato il posto in certi casi al rampantismo impersonato da Claudio Bisio in La gente che sta bene, mentre i forestieri hanno ricominciato ad affacciarsi sulla città. Nel 2015 è sbarcato a Milano Dentons, due mesi fa è toccato a DWF e il prossimo anno sarà la volta di Herbert Smith Freehills: tutti colossi pronti a prendersi pezzi di un mercato diventato evidentemente più contendibile.

 

Come hanno reagito le targhe d’ottone che già presidiavano l’area? “L’offerta oggi è divisa in tre macroaree: pochi grandi studi nazionali hanno mantenuto il loro ruolo guida come generalisti, altri, soprattutto fra gli inglesi, erano partiti con le stesse intenzioni ma si sono poi concentrati per storia, natura e network su alcune nicchie: è il caso di Linklater per il banking e Allen & Overy per il debt”, evidenzia Di Molfetta. Il terzo gruppo è quello di chi si è rivolto prevalentemente alla domanda interna in un’ottica di super-boutique: Perdersoli, Lombardi, Grande Stevens, Gattai, Gatti Pavesi Bianchi: strutture che nonostante le dimensioni più contenute erano in prima fila in tutte le grandi operazioni dell’ultimo anno: Pirelli ai cinesi, successione in Esselunga, fusione Bpm-Banco Popolare”.

 

Ma la crisi ha sortito un altro effetto inaspettato: riavvicinare l’avvocatura d’affari all’attivitàt̀ contenziosa e alla frequentazione dei tribunali. Oggi si parla persino d’integrazione tra avvocati d’affari e penalisti, cosa che in alcuni casi è già divenuta realtà̀. Così le sponde da cercare non sono più solo al ministero dello Sviluppo economico, ma di nuovo anche alla Giustizia: da questo punto di vista, radio avvocati registra un buon feeling con Orlando, di sicuro maggiore rispetto a quel che c’era con i suoi predecessori. E c’è anche chi, per farsi più istituzionale, talvolta triangola con lo stato e i grandi player in aree molto particolari, guadagnando reputazione e clienti: è il caso di Bonelli Erede, che ha aperto sedi al Cairo e ad Addis Abeba. La necessità aguzza l’ingegno. E per i professionisti di questo settore il momento della necessità è arrivato con il crepuscolo degli dèii. Dove a recitare la parte delle divinità cadute sono stati proprio gli avvocati che da geniali interpreti del diritto e frequentatori felpati di salotti (leggenda narra che Libonati e D’Urso, quest’ultimo addirittura con cagnolina al seguito, fossero gli unici due esterni autorizzati a fumare nello studio di Enrico Cuccia a Mediobanca) sono passati al ruolo di fornitori di servizi legali. Resta da capire quali saranno le partite più importanti del 2018: “Le stesse del 2017”, risponde Di Molfetta. “Atlantia-Abertis, il destino di Alitalia, Mediaset-Vivendi, la cartolarizzazione dei Npl bancari. Tutti fascicoli sui quali sono già al lavoro parecchi studi, ma c’è spazio perché se ne aggiungano altri. E in base ai nomi e ai curriculum di chi arriverà potremmo capire quale direzione prenderanno i dossier”.

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