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Periferie, immigrazione, tasse. Gelmini ci spiega cosa non va a Milano

Daniele Bonecchi

Mariastella Gelmini boccia (quasi) tutto della gestione Sala nel capoluogo della Lombardia. Ma spera per l’Ema e vuole autonomia fiscale

Dopo le Amministrative di domenica scorsa anche l’area metropolitana cambia equilibri. Sono molti i comuni con un nuovo sindaco e una maggioranza diversa. Questo inciderà sulle prossime decisioni della giunta milanese e aiuta tutti a fare un bilancio sul primo anno di lavoro di Beppe Sala. Ne parliamo con la coordinatrice lombarda e vice capogruppo alla Camera di Forza Italia, Mariastella Gelmini. A partire dalle grandi ambizioni di rilancio, sviluppo, internazionalizzazione, ma con i conti in ordine, con cui Sala si presentò. A che punto è il piano periferie, “ossessione” di Sala? Post Expo è in ritardo? Scommessa Ema: c’è un’offerta chiavi in mano di Milano? “I fattori economici che fanno di Milano un traino per il paese sono arcinoti a tutti e in forte crescita. La giunta Sala ha governato l’effetto Expo, ma non è ancora stata in grado di creare un solido sistema di attrattività. Lo dimostra il fallimento, ad esempio, di Tempo di Libri, il salone voluto dall’Aie ma per nulla supportato dal comune. Il bilancio è stato raddrizzato con una pioggia di tasse, gabelle e multe, non esattamente un esempio di buon governo e la città metropolitana è stata abbandonata a se stessa. Sul fronte periferie, siamo a zero coi fatti. Peggio, si è scelto di dividere le case popolari affidando a MM quelle comunali, col risultato che ci sono poveri di serie A e poveri di serie B. Mentre il Patto per Milano è rimasto un’invenzione propagandistica”.


Mariastella Gelmini (foto LaPresse)


L’attrattività sul post Brexit, e il cruciale marketing territoriale: quali risultati? “Una grande occasione. Vedremo se, a partire dall’Ema, Milano saprà spingere il governo amico nella direzione giusta. Per parte nostra stiamo facendo un lavoro importante col presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, ma a decidere saranno i governi e quello italiano sembra davvero fragile. Ma servono idee chiare e progetti a lungo termine in casa nostra per generare attrattività. L’idea delle settimane (week) milanesi non sempre ha convinto. Se, come è ovvio, vanno fortissimo design e moda, le altre non bucano. Per costruire solide politiche di marketing territoriale serve una regia collettiva, che coinvolga in modo diretto imprenditori, commercianti, albergatori”. C’è un governo nazionale più debole. Maroni chiede un’autonomia che Milano non ha. Come sta rispondendo la giunta? “Va detto che è solo grazie alla Regione se Milano sta superando qualche ostacolo. Voglio ricordare l’impegno di Maroni nel post Expo, la sua disponibilità a ospitare l’Ema al Pirellone, la scelta di costruire un progetto di edilizia popolare col comune di Milano e l’intesa sugli scali ferroviari. Detto questo, sullo sfondo ci sono grandi temi da affrontare. L’autonomia, col referendum proposto dal governatore, è una strada obbligata – e l’adesione di massa anche degli amministratori Pd lo dimostra – per consentire alla Lombardia di crescere. Purtroppo Milano ha preferito, già ai tempi di Pisapia, andare a Roma col cappello in mano”. Una forte contraddizione: in centro aumentano vertiginosamente i turisti (+15%) e le attività commerciali vanno a gonfie vele, in periferia i progetti hanno tempi fisiologici assai lunghi, cresce l’emarginazione e le risposte tardano. Sala ha vinto puntando sulla parola “integrazione”. Cosa occorre fare? “Le risposte sono complesse e bisogna far presto. Prima di tutto è necessario dare un colpo al sistema fiscale che strozza artigiani e commercianti. Perché in periferia si moltiplicano le saracinesche abbassate. E poi se arrivano molti turisti il comune non può fare solo il cassiere (tassa di soggiorno) ma deve investire queste risorse a favore del turismo. Le periferie sono completamente abbandonate e il problema più grande è proprio l’integrazione. Oltre ad un degrado, i quartieri della cintura sono privi di servizi. A tutto questo si aggiunge un’emergenza nell’emergenza: le politiche di accoglienza del comune stanno trasformando molte periferie in enclave controllate da immigrati assai poco raccomandabili. Siamo vicini al tracollo a San Siro, al Corvetto, in via Padova. Milano ha scelto un’accoglienza pelosa, ideologica, aumentando la sofferenza sia degli immigrati che dei milanesi”.

 

Anche alla luce dei risultati elettorali, che giudizio da delle iniziative pro immigrati, compresa la manifestazione del 14 maggio? C’è un problema sicurezza è un problema moschee. “Un suicidio politico la manifestazione pro immigrati. Ma soprattutto uno schiaffo alla sofferenza di molti italiani in povertà o in difficoltà che vedono il proprio comune sempre più distante. Senza contare che le recenti cronache dovrebbero spingere Sala alla cautela. In molte periferie la radicalizzazione è dietro l’angolo”.

 

Sono cambiati gli equilibri politici a favore del centrodestra, qual è oggi la sua proposta per restituire alla Città metropolitana una struttura compatibile coi necessari servizi ai cittadini? “La verità è che con la riforma Delrio 134 comuni sono stati abbandonati al loro destino. La città metropolitana, oggi al default, non è mai nata. Il sindaco se ne è lavato le mani e il governo ha voltato le spalle ai problemi. Gli unici interventi concreti li ha fatti la Regione, che ha saputo trovare le risorse per i disabili e sta costruendo una rete per garantire la manutenzione delle strade. Quella del governo è stata una scelta irresponsabile. Ora, anche grazie ai tanti sindaci di centrodestra eletti dai cittadini, bisogna cambiare strada e subito. Stiamo già lavorando ad una conferenza per una iniziativa straordinaria che salvi la città metropolitana”.

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