Foto Ansa 

GranMilano

Milano, via Esterle: lo sfratto dei musulmani “buoni” contro i musulmani poveri e abusivi

Cristina Giudici

Salvatore Porcaro, membro di Ci siamo-Rete solidale, che si batte per chi una casa non ce l’ha, racconta lo sgombero del 29 agosto, nei pressi via Padova

Sono considerati i musulmani “buoni” della città, quelli moderati con cui è stato possibile creare un dialogo costruttivo da sempre, soprattutto negli anni bui degli attentanti in Europa. Quelli che ci hanno convinto che con i Fratelli Musulmani non c’entrano nulla. E hanno sempre detto di non avere nulla a che fare con le moschee più estremiste. Ma sono, soprattutto, quelli che hanno vinto il bando comunale per ottenere il diritto di superficie (per trent’anni) sugli ex bagni di via Esterle, per potervi costruire una moschea: dopo 20 anni di attesa ma “senza minareto per evitare polemiche”, ha dichiarato Mahmoud Asfa, architetto giordano presidente della Casa della cultura islamica di via Padova, per rassicurare tutti, islamofobi compresi. 

Mahmoud Asfa è uno che ha vinto persino l’Ambrogino d’Oro. Certo, incalzato dal Giornale dopo la liberazione di Silvia Romano, disse che Hamas “è un’organizzazione riconosciuta in tutto i mondo arabo musulmano che sta lottando per la liberazione del suo paese”, ma probabilmente era stato frainteso o decontestualizzato, chissà. Inoltre i dirigenti della Casa della cultura islamica sono anche quelli che i danè per costruire la moschea li hanno tirati su, con il supporto dei fedeli e non con il finanziamento dei petrodollari: fino a prova contraria. Epperò, quando si sono trovati di fronte a un gruppo di 40 cittadini stranieri – lavoratori precari che non possono affittarsi una stanza e pregano rivolti alla Mecca, ma non vanno nelle moschee degli arabi che i subsahariani li hanno sempre discriminato, per usare un eufemismo – non hanno avuto alcuna comprensione. Con il plauso delle autorità cittadine, gli abusivi seppur islamici sono stati sgomberati e sono poi finiti in un altro stabile occupato da stranieri, dove però sono in tanti, e si vive in condizioni di degrado. 

Il ricercatore Salvatore Porcaro, membro del collettivo Ci siamo-Rete solidale che si batte per chi una casa non ce l’ha, racconta al Foglio che durante lo sgombero, avvenuto all’alba del 29 agosto, i primi ad arrivare in via Esterle 15 (zona via Padova) sono stati quelli della futura moschea: “Hanno spinto con forza la porta e rotto i vetri. Un’azione incomprensibile che interpreto come un atto di arroganza verso gli ultimi, della stessa fede religiosa, nel luogo che dovrebbe essere in futuro la casa di tutti i musulmani”. E non si può neanche dire che sia stato un episodio di una guerra fra poveri, perché la Casa della Cultura islamica – per costruire una moschea che dovrebbe aprire l’anno prossimo e attirare un grande numero dei centomila musulmani presenti in città – investirà oltre un milione di euro. Ma chi sono gli ultimi, sgomberati, finiti in un magazzino occupato, su un materasso e i cartoni usati per creare una parete provvisoria? Vengono in maggioranza dal Mali: rider, agenti di sicurezza, giardinieri; fra loro anche un cuoco. Ragazzi giovani che sono riusciti a uscire dai centri di accoglienza e ce la stanno facendo.

Lavorano con contratti precari, ma non sono a Milano a scialare l’esistenza. Senza i criteri per accedere all’housing sociale o agli alloggi popolari, cercano di integrarsi e non rappresentano un problema di ordine pubblico. Sopravvivono grazie al lavoro povero (si stima siano 1.500 in tutta la città metropolitana gli stranieri nelle stesse condizioni) e a loro Comune e Regione dovrebbero dare una risposta. “Noi abbiamo cercato invano un dialogo con la Casa della Cultura islamica per trovare una soluzione”, spiega Porcaro, “e anche con il Comune, che però si è limitato a consigliare loro di bussare alle porte di pensionati: rimaste chiuse sia per mancanza di posti sia per i prezzi insostenibili”. C’è la pressione abitativa, certo. E il caro affitti al centro dell’agenda della giunta, certo. Ma perché i “buoni” musulmani, che in teoria dialogano con tutti non hanno voluto dialogare con i precari stranieri e musulmani e, per fare i sopralluoghi, si sono presentati con la Digos? Forse perché sono subsahariani, sbarcati in Italia alcuni anni fa e nel gradino più basso della società. Con buona pace della fratellanza musulmana.

Di più su questi argomenti: