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La (mezza) pensione del glorioso bus 73 e la disfida tra milanesi “sì”, “nì” e Nimby

Daniele Bonecchi e Maurizio Crippa

Era un bus dell’Atm che caricava in San Babila viaggiatori business class e turisti diretti all’aeroporto Forlanini; era roba dei milanesi che il weekend esitivi diventava la tradotta di chi era diretto al mare

Come da titolo di un vecchio epico western di James Stewart, il debutto della nuova tratta metropolitana che collega da due giorni San Babila a Linate ha scatenato una vera sfida tra i milanesi della “M4 sì” e i milanesi della “M4 nì (almeno)” con annessa tentata, ma finora non risuscita, insurrezione incendiaria della banlieue forlaninica. Il giorno dell’inaugurazione, il 4 luglio, c’era già un drappello di protestatari con striscione “la 73 non si tocca” davanti a Palazzo Marino. Aspettiamo il Codacons. Una storia milanese e un poco surreale, tipo le biciclette che volono di De Sica e Zavattini, ma istruttiva su un certo malumore passatista, o più banalmente “nimby” dei nosti concittadini. 

C’era una volta la 73, dunque. La linea 73. Era un bus dell’Atm a suo modo immaginifico, e non soltanto perché caricava in San Babila viaggiatori business class di professione e turisti diretti all’aeroporto Forlanini; la 73 era roba dei milanesi anche perché il sabato e la domenica diventava d’estate la tradotta dei milanesi diretti al mare di periferia: l’Idroscalo, in fondo allo stradùn caro al barbun di Jannacci. Sui social oggi c’è chi la racconta in prosa letteraria: “Ho sempre pensato a questa sublime comodità settantatresca comparata con le marcialonghe di Fiumicino, di Roissy, di Heatrow per raggiungere l’agognato trenino o metro”. La 73, durante le calde giornate di Mani pulite, era poi diventata il loggione dello sciagurato spettacolo di Tangentopoli. Seduti a bordo – nel tratto che passava proprio davanti al tribunale – i passeggeri seguivano incuriositi la pièce tragicomica che si consumava giorno dopo giorno, attraverso le “dirette” sotto i riflettori delle tv (Brosio la vedette). 

Oggi quando parla della 73 Milano invece sembra un po’ Marte: popolata di pendolari marziani. Invece di benedire quel nuovo tunnel chiamato M4, che da martedì porta i viaggiatori a Linate in 12 minuti, c’è anche chi – cittadini-fedeli utenti ma anche i soliti noti del lamento metropolitano – parla di “enormi disagi” che la cancellazione della linea 73 (nel tratto urbano, da Linate a San Bovio e San Fedelino le corse restano) provocherà “ai cittadini, soprattutto ai più deboli”. Mentre il pollice verde di Carlo Monguzzi punta tutto sulla commissione Mobilità, che potrebbe restituire la 73 ai pensionati orbati di fermate sotto casa e per gli studenti “costretti” d’ora in poi a cambiare uno o due mezzi per raggiungere il centro da Novegro o Peschiera Borromeo. 
Certo, un po’ di disagio ci sarà (nessuna rivoluzione dei trasporti è gratis) e non è per nulla escluso, in una città dai mille aggiustamenti, che Comune e Atm non provvedano, in futuro, a ripristinare almeno un tratto dell’antico percorso su gomma. Perché è vero che le fermate della metropolitana sono (ovviamente) di meno e più distanziate, e il solo vecchio tram numero 27 non può garantire la famosa “città in quindici minuti”: che rischia, ancora una volta, di rimanere un miraggio acciuffabile solo da chi abita nelle aree più centrali. Del resto, l’arrivo della Metro blu e i costi di gestione da tagliare stanno già inducendo Atm a cambiare alcune linee e percorsi. Ma la lamentela a prescindere, per il disagio relativo di alcuni contro il vantaggio stabile nel futuro (pensare a Milano tra vent’anni, no?) suona un po’ strano. Come se una metropolitana in più, meno traffico su gomma e un nuovo attraversamento veloce della città non contassero niente. Davvero? Povera vecchia 73, ha fatto per decenni il suo faticoso lavoro e oggi è destinata alla pensione. Con buona pace dell’altra Milano che non si arrende, quella che vorrebbe il bigliettaio a bordo contro l’abuso del contactless sui mezzi Atm. Ma la città è in marcia e tra pochi anni avrà tutti bus elettrici, metrò sotto casa, e spariranno per sempre le linee superate dagli eventi. Ora la 73 viaggerà ancora attorno all’Idroscalo. Ma per rispettare il suo glorioso passato sarebbe meglio ritirare il numero 73 dalla teoria dei mezzi Atm, come fece il Milan col numero 6 di Baresi). E chiamare la nuova tratta solo San Felicino: di buon auspicio.

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