Foto di Mourad Balti Touati, via LaPresse 

Gran Milano

L'assessore leghista Caparini parla di conti e idee. Il vero benchmark della Lombardia

Fabio Massa

La colonna del Carroccio guarda avanti. Della Lega dice: “Ce n’è una sola, quella del fare”. E sulle regionali: Fontana? "La regione che si fa portavoce delle istanze". Majorino? "La cultura del no". 

Alla fine la politica è questione di idee e di soldi. E di qualche “trucchetto”, se così si può dire, per ottenerli. Davide Caparini, in regione Lombardia, svolge da cinque anni il ruolo di assessore al Bilancio. Ma non è solo questo. È anche la Lega nella sua essenza più pura. Camuno, è stato in Parlamento per cinque giri con il Carroccio, e poi altri cinque anni a Palazzo Lombardia che si concluderanno a febbraio. Trent’anni nelle istituzioni. Una vera colonna. Che non ha peli sulla lingua. E che soprattutto sa far di conto. A partire dal Bilancio regionale. “È un bilancio espansivo, per lo sviluppo. Noi confermiamo la tradizione di questi ultimi bilanci nei quali abbiamo puntato molto sugli investimenti pubblici. Certo, abbiamo dovuto usare il cervello…”.

 

In che senso? Qui si va sul tecnico, ma il “trucchetto” è interessante. “Noi abbiamo messo in campo con il Piano Lombardia 4 miliardi e mezzo, e ci siamo riusciti facendo una cosa molto semplice: sottoscrivendo debiti che poi non si contraggono. Per dirla semplice: se abbiamo un ponte da costruire intanto finanziamo l’opera. Andiamo in banca, e visto che abbiamo una solidissima struttura finanziaria, otteniamo un prestito. Il prestito però non lo attiviamo: il ponte viene autorizzato, e a quel punto chiediamo altri fondi che siano comunitari, europei, del Pnrr. Quando questi arrivano abbiamo già l’opera autorizzata e pronta a partire”. Nelle complicazioni del Pnrr, è una scorciatoia non da poco. “Ecco perché noi spendiamo meglio di altri i fondi del Pnrr. Il ministro Fitto lamenta che siamo ben lontani, come Italia, dai target di impegno delle cifre previste, ma se si vanno a vedere le cifre della Lombardia noi siamo ben al di sopra di tutte le previsioni”.

 

Trucchetti a parte, che cosa c’è nell’ultimo bilancio di legislatura? “Intanto ci si potrebbe stupire, specialmente dalle parti della sinistra milanese, ma noi abbiamo speso in ciclovie più di chiunque altro nella storia della Repubblica. Lo stesso dicasi per i treni. Questa è la sostenibilità e – mi faccia dire – anche la vocazione autonomista”. Che c’entra l’autonomia con le biciclette? “C’entra, perché se avessimo aspettato le procedure statali non avremmo speso i soldi e avremmo buttato via tutto. La programmazione è la chiave vincente. Certo, se lo stato ci desse un po’ più di libertà di spesa…”. Per esempio sulla Sanità?La Sanità lombarda è in profonda trasformazione. C’è stato un riequilibrio tra pubblico e privato perché la nostra volontà di accorciare le liste d’attesa ha imposto un bilanciamento nuovo, e quindi la richiesta agli operatori privati di svolgere prestazioni non remunerative. Finalmente, avendo messo in comune le agende, c’è stato un passo avanti. Ma bisogna porsi un obiettivo molto più alto. Ora chi paga ha un appuntamento molto prima rispetto a chi usa il Servizio sanitario nazionale. Dobbiamo riuscire ad allineare i tempi di attesa dei due servizi. La sfida è eliminare l’idea che se uno va privatamente avrà la prestazione prima”.

 

E con i soldi come si fa? “C’è sempre il tema delle risorse, questo sì. Anche perché non è possibile che gli operatori operino anche 12 ore al giorno, non li si può spremere fino al midollo. Infermieri e medici vanno nel privato non solo perché vengono trattati economicamente meglio, ma anche perché nel pubblico il carico di lavoro non ha eguali”. E da cosa dipende questo? “Dipende dal fatto che noi vogliamo assolutamente assumere, ma non c’è personale. Il reclutamento è un problema enorme. Eppure malgrado questo anche quest’anno decine di migliaia di giovani che avrebbero voluto studiare per diventare medici non hanno neppure potuto iscriversi al primo anno di università. Se non si dà una risposta con una riforma strutturale non se ne esce. E se questo problema è sentito nelle grandi città uno si può immaginare che cosa succede nei territori più periferici. Come fai a trovare personale? Qui ci vuole l’autonomia”.

 

Ancora con l’autonomia. “Sì, ancora. Perché lo stato ci trasferisce i soldi del Fondo sanitario nazionale, ma mica possiamo decidere liberamente come utilizzarle. Quel fondo è diviso in silos, ci sono percentuali che devono essere destinate alle singole competenze. Ci imbrigliano, limitano la nostra autonomia sanitaria. Quando noi vogliamo premiare i nostri medici o i nostri infermieri dobbiamo premiarli con i soldi della Sanità, ma con i fondi delle risorse autonome, tipo quella del bollo auto. Ma ci rendiamo conto? Eppure i soldi per premiare i medici ce li avremmo, potremmo premiarli, fare politiche di incentivazione. E invece niente”. 

 

Davide Caparini l’uomo dei soldi e della programmazione, ma anche il camuno leghista doc fino al midollo. “Io sono stato il fondatore della Lega in Val Camonica, che è stato il buen ritiro di Umberto Bossi per tanti anni. Il Comitato Nord? C’è una sola Lega, ed è la Lega del fare. È quella dei nostri bravissimi sindaci, che stanno governando magnificamente. È la Lega del buongoverno, che libera risorse che non erano mai state messe a disposizione, che sblocca cantieri, che fa ripartire la Pedemontana, il raccordo con la Val Trompia, che conclude la Statale 42. La Lega è quella roba lì. Del resto per questo ci siamo candidati: per far sì che il Nord potesse crescere e rimanere la locomotiva d’Italia”.

 

E il Sud? “Abbiamo ampliato il progetto, l’abbiamo fatto più ambizioso, e quindi l’idea dell’autonomia non è solo per il Nord. Essere autonomisti è quella roba lì, volere il meglio per il proprio territorio in una visione unitaria come partito e come sentire comune. Trovo tutto il resto davvero anacronistico”. Passiamo a Letizia Moratti: era sua collega di giunta. “Sì, ma i candidati sono due. Attilio Fontana e Pierfrancesco Majorino. In tutte le elezioni c’è il terzo, il quarto, il quinto e il sesto. C’è sempre chi si candida per visibilità o gloria. Negli ultimi 20 anni ne abbiamo visti parecchi. Parliamo dei due che stanno concorrendo”. Quindi Fontana e Majorino. “Esatto: hanno due filosofie completamente diverse. Fontana è la Lombardia del fare, moderna, del dialogo tra le istituzioni locali. È la regione che si fa portavoce e intermediaria delle istanze a Roma e in Commissione europea. La visione di Majorino invece è mondialista, relativista, per cui l’accoglienza è un obbligo e un dovere a tutti i costi. È una visione per la quale prima vengono gli altri e poi forse i cittadini che sono tenuti a pagare a piè di lista ogni assurda iniziativa, anche la più balzana, di accoglienza, senza aprire bocca. La Lombardia è accogliente da sempre, è terra generosa, ma lo è con regole certe, per chi viene a lavorare, per convivere”.

 

Caparini attacca: “Majorino rappresenta la cultura del no. In Lombardia c’è bisogno di energia e loro sono la politica che dice no a qualunque cosa. Noi l’abbiamo visto all’opera Majorino, a Milano. Brividi”. E Moratti? “Lei l’ha guardata la finale per il terzo e quarto posto ai Mondiali?”. No, in verità. “Ecco, appunto”.