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Gran Milano

Il silenzio di Selinunte e le luci a San Siro spente da un pezzo

Cristina Giudici

Viaggio nel quartiere diventato, malgrado gli sforzi positivi, il simbolo del degrado sociale e del disagio giovanile

Di luci, nella vecchia San Siro delle case popolari, se ne vedono poche, sebbene ci sia anche qui una rete associativa abbastanza solida che cerca di offrire strumenti formativi e piccoli spazi di aggregazione per aiutare le tante, troppe famiglie problematiche, e impoverite ulteriormente dalla pandemia. In piazza Selinunte, al centro del quartiere più sorvegliato fra tutte le zone periferiche di Milano, il silenzio è inconsueto, pochissimi i passanti. L’atmosfera è quella di un presente sospeso. “Il Comune sta investendo molte risorse per riqualificare il contesto abitativo” ci spiega Federico Bottelli, consigliere comunale del Pd con cui facciamo il primo giro mattiniero in piazza Selinunte – conosciuta soprattutto per lo spaccio –  dove ha chiuso i battenti persino il mercato comunale.

Prima o poi dovrebbe arrivare il community manager di Aler all’interno del progetto C.A.S.A per prevenire il degrado e a migliorare la qualità della vita degli inquilini, ma per ora la presenza delle istituzioni è ridotta alla piccola sede del Comitato di quartiere con uno sportello per i residenti che funziona a singhiozzo, ammette Bottelli che in campagna elettorale è andato a fare un video in via Zamagna e si è trovato accerchiato da un gruppo di ragazzi in passamontagna che lo hanno cacciato. In via Zamagna – paragonata impropriamente a quella letteraria della via Pàl di Ferenc Molnàr perché è da lì che vengono le bande che ruotano intorno ai rapper più famosi del quartiere – si vedono solo alcune adolescenti appena uscite da scuola e una signora rumena ci spiega di aver mandato i suoi figli a studiare in Romania “perché le scuole di San Siro meglio di no”, dice scuotendo la testa mentre ramazza davanti al palazzo: “Bisogna curare le nostre case”, aggiunge. 

 

Poco distante c’è il piccolo spazio Off Campus del Politecnico, dedicato alla ricerca sulle politiche urbane, la povertà educativa e la segregazione in contesti multiculturali. Con uno sportello di assistenza legale gestito dall’Università Bocconi. “Ci chiedono di tutto un po’, anche come pagare le bollette”, spiega la responsabile Francesca Cognetti. “Le sinergie con le reti sociali ci sono, ma non bastano: mancano le politiche pubbliche per gli abitanti che sono poveri e vivono in case sovraffollate. Dopo le scuole medie, per tanti adolescenti ci sono solo la strada e il carcere”. Ma si fa fatica a immaginare come fare a invertire il processo di scollamento fra le istituzioni e i residenti che spiega bene perché alle elezioni comunali solo una minoranza degli abitanti del municipio 7 siano andati alle urne.

Dopo pranzo, in piazza Selinunte tutto tace. Sembra di essere tornati al lockdown del marzo 2020. Resta aperto solo il tabaccaio dove alcuni residenti maghrebini entrano per un caffè ma si trattengono il meno possibile mentre gli autoctoni restano più a lungo per lamentarsi come fanno da anni del degrado, dei fuochi alla sera all’interno del giardino di cemento, dello spaccio e del mercato ambulante dei rom. Nella piazza quasi deserta abbellita da due murales, – fra cui uno che raffigura un ragazzino con un pallone appoggiato sulla testa e lo sguardo sorridente teso a quel futuro che in pochissimi riescono ad avere da queste parti- incontriamo un operaio di una società utilizzata per gli sgomberi. “Veniamo chiamati spesso per spaccare gabinetti ed evitare che le case vengano rioccupate anche se ci sono bambini e minorenni, trovo comprensibile che siano incazzati”, spiega a bassa voce. 

 

L’unica via di fuga e di riscatto è il rap dato che è proprio nella vecchia San Siro che sono cresciutele le voci più interessanti del panorama hip-hop, cazzuto e ormai brandizzato. Anche se i rapper vanno e vengono dalle carceri, la musica è l’unico ponte rimasto per non spezzare il filo con le bande che sfidano la città, il centro della Milano che gli ha voltato le spalle e viceversa. Ogni tanto ci si riprova a creare progetti per creare spazi aggregativi che diano cittadinanza alle loro voci che raccontano la loro periferia, la loro San Siro. Spazi difficili da trovare in una zona che sembra costruita apposta per creare un ghetto con gli alloggi popolari senza soluzione di continuità.

 

Si parla tanto delle vite deviate delle seconde generazioni, ma mai dei loro genitori. Samy, anche lui rapper, è figlio di un padre tunisino e di una madre italiana che su Facebook ha messo l’immagine sua e del figlio, entrambi coperti da un passamontagna. E la sua bio suona come una sfida: sono una donna danno a cui riescono i danni perfetti. E infatti recentemente è andata all’ospedale San Carlo perché voleva spaccare tutto per vedere un parente ricoverato e chissenefrega delle prescrizioni Covid. In quartiere quei pochi che parlano dicono che i giornalisti alla stregua dei politici non sono graditi – i primi perché promettono e non mantengono, i secondi perché raccontano San Siro come se fosse Aleppo. Il rapper più famoso di tutti, Baby Gang, nell’unica intervista che ha dato ha raccontato della sua vita fra la comunità e la strada e ha sintetizzato bene il comune sentire dei ragazzi che “creano problemi” perché se sei povero e vivi di assistenza prima si prova umiliazione, poi la rabbia “sale dentro” e la roba che non hai te la vai a prendere. “Si parla tanto di rapper nel quadrilatero della vecchia San Siro ma poco di quello succede nelle strade davvero pericolose, dove ci sono randa e malavitosi, come in via Creta” spiega la volontaria di un altro isolato di case popolari. Gli investigatori della polizia che fanno la spola fra la questura e San Siro chiedono di andarci piano. E avranno pure ragione perché nel nostro viaggio abbiamo incontrato tante persone di buona volontà che hanno capito il disagio di questa parte del quartiere che ha voltato le spalle alle istituzioni e viceversa, ma uno degli ultimi due minorenni arrestati per le violenze di Capodanno viveva in via Gianicolo, a 700 metri da piazza Selinunte dove le luci di San Siro si sono spente da troppo tempo. 

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